È la divulgazione, bellezza. E i podcast ne hanno parecchio bisogno
Ovvero: la storia di come mio nonno ha iniziato ad ascoltare podcast a 88 anni. Trovi poi le notizie della settimana (a partire dai nuovi acquisti di Amazon), i consigli di lettura e quelli di ascolto
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Qualche giorno in un post del gruppo Facebook Podcast Community Italia è emersa una criticità da parte di alcuni lettori di newsletter sui podcast: alcuni preferirebbero che venissero segnalati podcast meno mainstream.
Ho fatto due obiezioni.
La prima è che spesso - non sempre - i programmi realizzati dai produttori più grossi sono anche quelli migliori: essere più grossi e avere più soldi permette di assumere i migliori professionisti.
La seconda è che nella miriade di podcast realizzati da podcaster indipendenti che escono ogni giorno è davvero complicato scovare delle perle.
Per quanto riguarda il secondo punto, le segnalazioni delle lettrici e dei lettori possono essere di grande aiuto. Ne ricevo già parecchie, ma faccio fatica a starci dietro. Quindi ho accolto volentieri il suggerimento di una delle persone che è intervenuta sotto quel post (grazie Stefania!) e ho creato un Modulo Google. D’ora in avanti chi vorrà segnalarmi un podcast (o un audiolibro) potrà farlo qui.
Ora iniziamo.
Mio nonno, la scoperta dei podcast a 88 anni e l’importanza della divulgazione
Da ragazzo ogni sera mio nonno Giancarlo, come la maggior parte delle persone allora, ascoltava la radio insieme alla sua famiglia. Vivevano in una bella casa a Verona, non distante da quella dove i miei nonni si sono trasferiti qualche mese fa. Era una radio a valvole con il giradischi incorporato. Il suo posto era il soggiorno, dove mio nonno, sua sorella Myriam e i loro genitori, Bruno e Mima (diminutivo di Maria Irma), si radunavano in silenzio, con le orecchie tese verso quel magico oggetto. Al tempo esisteva solo la radio pubblica. Si chiamava ancora Eiar (Ente Italiano Audizioni Radio). La Rai sarebbe arrivata nel 1944 con la liberazione dell’Italia.
Adoro immaginare mio nonno, poco più che bambino, ascoltare concentrato gli annunciatori. All’inizio esisteva solo il giornale radio. Poi erano arrivati i programmi che trasmettavano opere di musica sinfonica e classica e i varietà. C’erano anche le radiocommedie, che raccontavano episodi di vita vissuta. Alcune le scriveva Bruno, il mio bisnonno, commediografo di professione. Mio nonno amava ascoltare la radio anche prima di andare a dormire, nel letto. S’infilava le cuffie, in modo da non disturbare gli altri. Come fanno i ragazzi anche oggi.
Il suo legame con la radio ha iniziato a rompersi quando, a 19 anni, è andato all’Accademia Militare di Modena, per poi intraprendere la carriera militare. Nelle caserme al posto delle radio c’erano i jukebox, situati nei circoli ufficiali e sottuficiali o nelle mense dei soldati. E presto i jukebox erano stati sostituiti dai televisori, spesso sintonizzati sugli incontri di pugilato. A 36 anni mio nonno aveva raggiunto il grado di maggiore. Consapevole che senza una raccomandazione non avrebbe potuto ricevere ulteriori promozioni, lasciò l’esercito e iniziò a lavorare in un’azienda produttrice di stampanti e fotocopiatrici.
Il suo udito era già gravemente compromesso. Colpa delle esplosioni dei missili a testata nucleare che durante gli addestramenti lui e i suoi commilitoni lanciavano in mare, nella zona di Chioggia, o sull’altipiano di Asiago. Erano anni duri. Mio nonno, che per qualche tempo era stato di stanza a Bressanone, aveva dovuto vedersela sia con i terroristi altoatesini (che avevano sparato a una ruota della sua auto e ucciso un suo amico con una bomba) sia con le minacce dell’Urss. Fatto sta che a causa di quegli schianti aveva poco a poco perso l’udito. «Nessuno faceva causa per disservizio allora», mi ha spiegato.
La radio era diventata così per lui una discreta, quasi impercettibile compagna nei viaggi in auto per andare al lavoro. E per qualche tempo aveva affidato il suo risveglio a una piccola radiosveglia impostata su Rai Radio 1. L’udito nel frattempo continuava a peggiorare. Ricordo che già da bambina spesso dovevo ripetergli le cose più volte, a volume sempre più alto. «Alza la voce!» mi intimava mia nonna strabuzzando gli occhi.
Tuttora quando parlo con lui alzo il più possibile la voce, perché nonostante gli apparecchi acustici che indossa da una ventina d’anni ancora non ci sente bene. Quando discutono mia nonna approfitta della sua sordità per insultarlo senza preoccuparsi che la senta. «Imbecille», sibila. E io rido. Lui invece urla sempre, un po’ perché è sordo, un po’ per carattere e un po’ perché è un ex militare.
È un tipo burbero mio nonno, anche se con il passare degli anni si è addolcito parecchio. Ed è pure una delle persone con il più grande spirito di adattamento che conosca. Probabilmente perché ama la vita in modo incondizionato, nonostante abbia preso diverse batoste. Ha anche una propensione innata per la tecnologia. L’ho visto montare o smontare di tutto, talvolta in cima agli alberi delle barche, o in bilico su una scala apribile, o in punta di piedi su tavoli di ogni tipo. (Per diversi anni inoltre ha dipinto quadri stupendi, tradotto manuali di vario genere e veleggiato sul lago di Garda).
Ogni volta che scopre l’esistenza di un nuovo dispositivo si fionda su qualche sito di e-commerce per acquistarlo, senza alcuna remora di tipo economico (e qui mi viene in mente l’espressione inviperita di mia nonna quando scopre che il marito ha fatto l’ennesima spesa superflua). In casa ha installato gli aggeggi più disparati, tra cui un misterioso apparato made in China per ridurre il consumo di energia. Ha un account Facebook, a cui accede regolarmente. Usa spesso YouTube per ascoltare violinisti da tutto il mondo e gruppi di musica celtica. In sala non ha più una radio ma uno smart speaker. «Guarda cosa sa fare l'Alexa», mi dice orgoglioso - manco stesse parlando di sua figlia - appena prima di attivare l’intelligenza artificiale con un comando vocale.
Proprio oggi (30 giugno) mio nonno compie 88 anni e si è da poco approcciato ai podcast. Glieli ho fatti conoscere io. Non ci ha messo troppo a capire cosa fossero. Per spiegarglielo ho fatto innanzitutto il tipico paragone con la radio, punto di riferimento fondamentale soprattutto per le persone della sua generazione. Gli ho detto che un podcast è un po’ come un radio giornale, o una radiocommedia, o un programma di varietà che può ascoltare quando vuole attraverso lo smartphone.
Quindi ho installato sul suo cellulare (Android) Google Podcasts e ho iniziato a seguire alcuni show che pensavo potessero interessargli. Podcast di notizie, per lo più. Il problema è che l’interfaccia di Google Podcasts è piuttosto ostica, soprattutto per una persona anziana (anche se si chiama Giancarlo de Cesco). Ci sono troppe iconcine, troppi passaggi da fare, troppi programmi tra cui scegliere e perdersi. In quei giorni Il Post lanciava Morning di Francesco Costa (qui la mia intervista a Costa sul tema) sull’app del giornale online, che ho scaricato sul cellulare di mio nonno. L'interfaccia dell’app in questo caso è molto più pulita e intuitiva.
E così mio nonno ha preso l’abitudine di ascoltare Morning ogni mattina presto. Gli apparecchi acustici si sono rivelati un elemento di vantaggio. Da qualche tempo porta un modello con Bluetooth, che gli permette di connettersi allo smartphone o alla tv. In questo modo non ha nemmeno bisogno di indossare le cuffie, come faceva da ragazzo.
Qui sotto trovi una recensione di un episodio di Morning che mio nonno mi ha mandato qualche giorno fa tramite un messaggio vocale su WhatsApp (!). A un certo punto dice: «Devo ricredermi su quello che gli avevo detto». In realtà fa riferimento a una cosa che aveva detto a me, ossia che secondo lui Costa stava parlando troppo di Covid.
Perché ti racconto tutto questo? Da un lato perché oggi, come dicevo, è il compleanno di mio nonno, una delle persone più importanti della mia vita: volevo fartelo conoscere un po’ e raccontarti che ruolo l’audio ha avuto nella sua esistenza, fino al suo approccio con i podcast. Dall’altro perché la sua storia fa riflettere su un tema fondamentale: quello della divulgazione.
Ogni volta che mi innamoro di qualcosa - un libro, una serie tv, un podcast - sento il desiderio di trasmettere quella scoperta alle persone che stimo e a cui voglio bene. «Magari anche loro ne trarranno il piacere che ne ho tratto io», penso. Ho provato a coinvolgere nel meraviglioso mondo dei podcast anche mia nonna. Con lei la sfida è molto più ardua, perché ha un rapporto terribile con il cellulare. Ho ragionato su che cosa le sarebbe potuto piacere (è una veterena de La signora in giallo, tra le altre cose). Le ho messo una puntata di Demoni urbani, con l’altoparlante. L’ha ascoltata tutta, incantata dalla voce di Francesco Migliaccio e dal sound design di Francesco Campeotto e Alessandro Levrini.
Ecco, trovo che per i podcast manchi un serio e costante lavoro di divulgazione rivolto ai potenziali ascoltatori (un tentativo lo sta facendo Paolo Pacchiana nella rubrica “Podcast 4 dummies” sull’account Instagram di VOISLAND). E qui non si tratta (soltanto) di coinvolgere gli anziani, ma in generale un’enorme fetta di popolazione che non soltanto non ha capito cosa sia un podcast (lo spiega molto bene Jonathan Zenti su Il Tascabile, mentre qui io racconto dove e come si ascoltano), ma non ne ha proprio mai sentito parlare. È il caso di molti miei coetanei.
Secondo un recente report del Reuters Institute (ne ho scritto qui) il 31% degli italiani ha ascoltato un podcast nell’ultimo mese. Dobbiamo certamente puntare a fidelizzare quel 31%. Ma soprattutto dobbiamo lavorare sul restante 69%: non ha ascoltato perché non sapeva dell’esistenza dei podcast? Perché non sa cosa sono o come si ascoltano? Perché l’interfaccia utente delle varie app disponibili è troppo complicata? Perché non sa cosa ascoltare? Perché non trova niente che gli piaccia?
Il mercato crescerà soltanto se chi lavora nel settore, se noi appassionati ci daremo da fare per trovare risposte a tutte queste domande. Impegnarsi nella produzione senza lavorare sul marketing e tutto il resto rischia di tradursi in uno spreco di energie.
Intanto un consiglio, una piccola cosa che puoi fare già oggi: vai da un amico, da tua madre, da tuo fratello, falle/gli ascoltare un podcast che secondo te potrebbe piacerle/gli, prenditi dieci minuti per guidarlə nell’app di ascolto che le/gli proporrai. È anche così che nascono nuove ascoltatrici e nuovi ascoltatori.
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Le notizie della settimana
Amazon ha annunciato l’acquisto di Art19, piattaforma per l’hosting e la monetizzazione dei podcast. Art19 offre agli inserzionisti sia annunci pubblicitari host-read premium per un elenco selezionato di podcast sia una rete di migliaia di podcast che accettano annunci già confezionati inseriti in modo dinamico. I termini economici dell’accordo non sono stati rivelati. Amazon ha anche comprato i diritti di distribuzione e di vendita degli annunci del podcast comico SmartLess. Anche in questo caso i termini economici non sono stati resi noti, ma una persona informata dei fatti parla di 60-80 milioni di dollari. Lo scorso dicembre Amazon aveva acquisito Wondery, una delle più grandi case di produzione di podcast negli Usa, per circa 300 milioni di dollari.
La giornalista e podcaster Jemele Hill ha lanciato The Unbothered Network, una rete di podcast in esclusiva con Spotify con lo scopo di elevare le voci e le storie delle donne nere.
Paul English, cofondatore di Kayak (motore di ricerca per i viaggi), ha creato una nuova app per scoprire podcast. Si chiama Moonbeam e unisce l’apprendimento automatico alla curatela umana.
Storytel ha appena festeggiato il suo terzo compleanno italiano. Per l’occasione la piattaforma ha fatto sapere che nei primi sei mesi del 2021 la piattaforma ha registrato un incremento di consumi del +45% rispetto ai primi sei mesi del 2020, con un maggior interesse verso contenuti divulgativi, legati a temi come ansia e psicologia, ma anche scienza e storia. Un buon trend di crescita è quello mostrato anche dal consumo di contenuti romance, raddoppiati rispetto ai primi sei mesi del 2020. Le serie crime e thriller si confermano come sempre contenuti molto forti.
To obe or not to obe
L’editoriale di Mirko Lagonegro, ceo e cofondatore di Digital MDE
150 giorni, suppergiù. È il tempo trascorso da quando è nato l’OBE Podcast Committee, il tavolo tecnico composto da aziende che producono branded podcast. Non sono molti, ma se affrontati con lo spirito giusto si possono comunque fare un po’ di cose. Ad esempio, abbiamo effettuato un’analisi dello sviluppo di questo settore iniziando a censire i progetti realizzati nel nostro Paese e, lo scorso marzo, abbiamo pubblicato il primo White Paper sul branded podcast in Italia. Un documento finalizzato a offrire agli attori del mercato, specialmente ai brand, un set di conoscenze di base con cui sfruttare al meglio questo nuovo e potente formato di comunicazione.
L’imprinting dato al tavolo tecnico dall’OBE, Osservatorio Branded Entertainment, e dai membri fondatori – Mentre, Vois e DigitalMDE – è caratterizzato da una forte attitudine collaborativa, nella comune convinzione che il nostro lavoro sarà tanto più efficace quanto più sarà aperto al contributo delle numerose e diverse realtà aziendali di cui si compone questa filiera. In questo senso quindi sono particolarmente felice dell’ampliamento del gruppo di lavoro, che registra tre nuovi ingressi: quello di Storie Avvolgibili e quello di due big dell’editoria, già da tempo attivi nel contesto audio, il Gruppo Editoriale Gedi e Il Sole 24 Ore.
Sono convinto che l’ingresso di due aziende così strutturate sia un’ottima notizia per la nascente industria italiana del branded podcast, che trova nella loro adesione, oltre a una grande legittimazione, l’accesso a professionalità ed esperienze capaci di portare ulteriori stimoli di riflessione e spunti di discussione. Seppur appena entrati, ci siamo messi subito al lavoro, in stretta collaborazione con OBE Academy, su una prima serie di workshop e iniziative formative, la prima delle quali sarà disponibile all’inizio dell’autunno, e che vedrà ogni azienda partecipante al committee occuparsi di uno specifico aspetto in cui si articola il branded podcast. In ultimo ci siamo dotati di un badge, questo.
Non è, in senso stretto, una certificazione, ma ha comunque un significato importantissimo: è un riconoscimento che OBE rilascia alle aziende che supportano e diffondono la cultura del branded podcast in Italia. Ché per raggiungere un obiettivo comune, la crescita di un mercato, c’è innanzitutto bisogno di regole chiare e condivise, e di operatori – siano essi produttori o brand - che s’impegnino a seguirle.
I consigli di lettura
Un articolo affascinante che racconta come cambiano le storie quando le leggiamo sotto forma di libri e quando le ascoltiamo sotto forma di audiolibri attraverso la voce di un narratore o una narratrice.
Per il Washington Post i podcast sono diventati un’importante spinta verso gli abbonamenti. E stanno facendo guadagnare al giornale parecchi lettori giovani. Ecco la strategia della testata statunitense.
Audiolibri e podcast sono destinati a continuare a fecondarsi a vicenda, finché dalla loro intersezione non nascerà “A Third Thing”. È la previsione di Tom Webster, che cita come esempio le opere di Jorge Luis Borges: né racconti né romanzi, ma nemmeno qualcosa nel mezzo.
Clubhouse sembra molto amato in India, dove ha debuttato lo scorso maggio. Se il suo successo sarà duraturo e la piattaforma entrerà nel club di Facebook & Co. dipenderà però da come affronterà alcune questioni.
Le novità da ascoltare
Podcast
Il podcast della settimana è senza dubbio Io sono libero, grande lavoro di Alessandro Milan con il sound design di Paolo Corleoni. È una serie audio di Radio 24 in sette puntate (disponibili sulle app free), dedicata alla storia di Derek Rocco Barnabei. Nel settembre 1993 il ragazzo, cittadino statunitense di origini italiane, fu condannato a morte in Virginia per lo stupro e l'uccisione della sua fidanzata Sarah Wisnosky. La sua condanna fu basata su un processo indiziario: non esistevano prove a carico di Barnabei, che si è sempre dichiarato innocente e si è battuto per l’abolizione della pena di morte. Qualche mese fa è uscito il libro di Milan sulla vicenda, Un giorno lo dirò al mondo. Il giornalista si occupò del caso nel 2000, quando Radio 24 aveva solo pochi mesi di vita.
Nei giorni scorsi è uscito anche B-Lives, Storytel Original composto da una sola puntata da quasi quattro ore divisa in otto capitoli. Il podcast, scritto da Tiziano Ferrari e Federico Laini e letto da Ferrari, porta a scoprire l’altra faccia di persone che hanno passato anni fingendo capacità e ruoli che in realtà non hanno mai avuto e che hanno goduto a lungo di una credibilità sociale. Finché non sono state scoperte.
Storielibere.fm ha lanciato Grand Tour di Strega, di Strega Off e Raffaele Notaro, cinque puntate dedicate ai libri finalisti del Premio Strega ascoltabili sulle app free, e la seconda stagione di Love Stories di Melissa Panarello, disponibile soltanto sul canale a pagamento di storielibere.fm su Apple Podcasts.
Audiolibri
L’ultima opera di Bianca Pitzorno s’intitola Sortilegi ed è una raccolta di tre racconti: una ragazza additata come strega, un’unione messa in pericolo dalla maledizione di una donna invidiosa, un profumo che parla di ricordi, tradizioni e di nostalgia. Il libro è ora disponibile anche sotto forma di audiolibro, edito da Giunti/Bompiani e distribuito da Storytel. La narratrice è Pitzorno stessa. [Durata: tre ore e nove minuti]
Un amore è l’ultimo romanzo di Dino Buzzati, nonché il mio preferito. È la storia del folle innamoramento dell’affermato e maturo architetto milanese Antonio Dorigo per una ragazza molto più giovane di lui, Adelaide Anfossi, ballerina e prostituta. Il narratore dell’audiolibro, edito e distribuito da Audible, è Gioele Dix. [Durata: otto ore e mezza]
In Animal Spirit Francesca Marciano raccoglie sei racconti attraversati dalla presenza animale: serpenti addestrati, gabbiani famelici, alci che sbucano dal bosco, stormi di uccelli che compongono forme stupefacenti nel cielo di Roma. Spesso è proprio l'incontro col mondo animale a innescare la scintilla che fa nascere la storia. La versione audio, con la voce di Iaia Forte, si trova su Storytel ed è edita da Mondadori. [Durata: sette ore e 32 minuti]
Ciaooo, a mercoledì prossimo!
P.s. L’illustrazione che accompagna questo post è di Mabel Sorrentino.