È nato "Morning", nuovo podcast del "Post". Intervista al suo conduttore, il giornalista Francesco Costa
Trovi poi un'analisi sui dati IAB relativi al mercato pubblicitario podcast negli Usa, le notizie della settimana, qualche consiglio di lettura e i nuovi podcast e audiolibri in italiano da ascoltare
Ciao! Io sono Andrea Federica de Cesco e questa è Questioni d’orecchio, il mio spazio settimanale dedicato a podcast, audiolibri e altri contenuti audio.
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Il podcast Morning raccontato da Francesco Costa
Da lunedì scorso, 17 maggio, ogni mattina da lunedì a venerdì Il Post pubblica un nuovo podcast. Si chiama Morning ed è una rassegna stampa, disponibile attraverso l’altrettanto nuova app del Post (qui i dettagli e i link per scaricare l’app, per iOS e Android). Ho fatto qualche domanda a Francesco Costa, vicedirettore del giornale online, che conduce e cura il podcast.
Come e quando nasce l'idea di Morning? Quali sono i podcast che vi hanno ispirato?
«Ci siamo arrivati un po' naturalmente, dalle cose che facevamo già. Io ho iniziato a fare podcast nel 2016, quando nelle classifiche italiane oltre a Da Costa a Costa c'erano solo programmi radiofonici, e ho condotto tante volte Prima Pagina, la storica rassegna stampa di Radio 3 Rai. Con Luca Sofri, il direttore del Post, facciamo una volta al mese una rassegna stampa del Post al Circolo dei Lettori di Torino, che nel tempo si è guadagnata un seguito molto affezionato. Il Post è nato undici anni fa proprio a partire da una discussione critica sulla qualità, l'affidabilità e la comprensibilità della nostra stampa, e sul valore che ha oggi chi riesce costruire un rapporto di fiducia con il pubblico permettendogli di orientarsi nella ricchissima offerta di informazioni attraverso un lavoro di selezione critica. Insomma, volevamo fare da anni una cosa come Morning, una rassegna stampa breve e in formato podcast: l'abbiamo fatta adesso perché grazie ai nostri abbonati stiamo riuscendo a fare molte più cose di prima. Anche per questo non abbiamo modelli particolari, la cosa che abbiamo in mente non è il Daily: è quello che facciamo da sempre, ma in un nuovo formato».
Cosa credete che possa apportare ai vostri lettori o, in generale, ai potenziali ascoltatori? Perché dovrebbero ascoltarlo e sceglierlo rispetto ad altri podcast di notizie quotidiani? Che target avete?
«Non abbiamo mai ragionato pensando a target demografici particolari: il target è chiunque voglia provare a informarsi su un giornale molto diverso dalla grandissima parte della stampa italiana (diverso prima ancora che migliore o peggiore: lì ogni opinione è lecita, ma diversi lo siamo di sicuro). L'idea alla base di Morning è che per essere informati non sia necessario solo conoscere le notizie, ma anche sapere come e soprattutto perché le notizie vengono date dai giornali, con quali scelte di priorità, di taglio e di linguaggio, perché quelle scelte hanno conseguenze sulla realtà. Il racconto dei giornali non è estraneo a quello che succede: spesso determina quello che succede».
Come avete scelto la durata e come scegliete e sceglierete i temi di cui parlare?
«Per quanto riguarda i temi, saremo guidati soltanto dalle notizie e da quello che ogni mattina troveremo di interessante e rilevante sui giornali. Ci sembra che 20 minuti possano essere un giusto compromesso tra l'esigenza di articolare un discorso e i ritmi rapidi della mattina: è il tempo di lavarsi e vestirsi, o il tempo di spostarsi da casa in ufficio».
Chi lavora al podcast? Come avviene la creazione di ogni puntata, in pratica?
«Morning è una rassegna stampa: la creazione della puntata parte dalla lettura dei giornali, prima dell'alba, e da lì alla scelta dei temi di cui parlare e del modo in cui sviluppare un discorso organico che permetta di fare la cosa di cui ti parlavo passando da un articolo all'altro. Lo faccio io, dall'inizio alla fine: dalla lettura dei giornali alla scaletta fino alla registrazione e al montaggio. Ci è sembrata la soluzione più efficiente tra quelle alla nostra portata, almeno per il momento. Poi ovviamente questo lavoro è un flusso, e quindi Morning si appoggia anche sul lavoro fatto il giorno prima con la redazione: e sugli input che ricevo dal direttore, che da anni legge i giornali di notte, appena escono sulle app le edizioni in pdf, e mi segnala cose interessanti e notevoli. Le segnalazioni di Luca hanno un posto dentro Morning».
Per quale motivo avete deciso di creare una vostra app d'ascolto? Chi l'ha sviluppata e come funziona? Ce ne sono già diverse a disposizione: perché un ascoltatore dovrebbe scaricarne un’altra per un solo podcast?
«Beh, innanzitutto l'app non è dedicata a un solo podcast. In questi anni abbiamo fatto diversi podcast per gli abbonati del Post, tra cui un podcast quotidiano condotto da Matteo Bordone che va avanti da quasi due anni. Le persone abbonate del Post pagano per quei contenuti: se hanno deciso di abbonarsi, immagino vorranno scaricare l'app per fruirli in un modo più comodo di quanto accada oggi. Se non vorranno, potranno ascoltarli sul sito dopo essersi loggati, come hanno fatto fin qui. Purtroppo non esiste un metodo sensato, che non comporti magheggi incomprensibili per la grandissima parte delle persone, per mettere uno o più podcast sulle piattaforme ma offrirli solo a qualcuno. L'app l'abbiamo sviluppata noi: oggi serve solo per i podcast, ma col passare del tempo diventerà una vera e propria app del Post. Quanto a chi oggi non è abbonato, o non sa se scaricare un'app gratuita per provare ad ascoltare Morning: speriamo di convincerli con il nostro lavoro. Se lavoreremo bene, lo verranno a sapere. Se no, sarà stata colpa nostra».
Se l’obiettivo è puntare sugli abbonamenti, perché non puntare invece su servizi di monetizzazione come Patreon o sui nuovi servizi di subscription di Spotify e Apple?
«Detto che di questi servizi di Apple e Spotify appena annunciati sappiamo poco, mentre noi da due anni offriamo a lettori e lettrici la possibilità di abbonarsi, e detto che in generale meno leghiamo il nostro modello di business a player su cui non abbiamo alcun tipo di controllo e meglio è, la ragione fondamentale è che noi non vogliamo vendere uno o più podcast. Noi offriamo un abbonamento a un giornale: che comprende molte cose, tra cui anche alcuni podcast. Quindi, per esempio, abbiamo bisogno di elaborare noi i pagamenti, di avere noi i dati delle persone abbonate. Non c'è modo di proporre questo tipo di offerta integrata sulle piattaforme. Se ci sarà, quando ci sarà, come ci sarà, quanto durerà, quanto costerà, non lo sappiamo e non dipende da noi: e come si fa a costruire un modello di business su queste premesse?».
Come dicevi, in una prima fase Morning sarà disponibile per tutti e poi verrà destinato ai soli abbonati. Che aspettative avete al riguardo? I contenuti di audio parlato si stanno rivelando molto importanti per portare al New York Times nuovi abbonati digitali. Il Daily, però, è aperto a tutti.
«Un podcast aperto a tutti può essere utile ad allargare il pubblico e quindi trovare nuovi abbonati, mentre un podcast solo per abbonati può essere utile a tenerseli, gli abbonati. Abbiamo intenzione di fare entrambe le cose, o almeno di provarci. Nei prossimi mesi arricchiremo la nostra offerta audio sia con prodotti per tutti che con prodotti per soli abbonati».
La rassegna stampa, per sua natura, si esaurisce il giorno stesso in cui viene realizzata. In altre parole, difficilmente è un contenuto con una vita lunga. In passato hai fatto delle rassegne stampa, in diretta, per Radio 3. E sono rassegne stampa audio e in diretta anche quelle di Fuori dalla bolla, prima su Clubhouse e ora su Twitter Spaces. Perché avete optato invece per il formato podcast, on demand? E che opinione hai di servizi come Clubhouse e Spaces?
«Vorremmo che Morning trovasse un posto nella routine del mattino del numero più ampio possibile di persone, e il podcast permette al contenuto di adattarsi alle abitudini del pubblico senza costringere il pubblico ad adattarsi agli orari del contenuto. Una trasmissione in diretta avrebbe richiesto tutto un altro tipo di sforzo produttivo, per poi magari scoprire che la maggioranza delle persone avrebbe preferito comunque ascoltarla on demand. Onestamente non vedo grandi potenzialità dietro servizi come Clubhouse, e lo dico a prescindere dal recente crollo di utenti: l'ho frequentato un po' e non mi ha convinto, tanto che non ci ho mai fatto nulla come autore. Posso sbagliarmi, ma in un mondo senza milioni di persone stremate da un anno di solitudine, noia e arresti domiciliari, non credo che esista una domanda di dimensioni significative per quel tipo di servizio. Poi qualcosa resterà, magari altrove, soprattutto tra i contenuti di valore: la rassegna stampa Fuori dalla bolla è ottima, per esempio, ma gli utenti di servizi come Clubhouse e Spaces mi sembrano letteralmente la bolla».
Hai iniziato a fare podcast diversi anni fa con Da Costa a Costa: cos'hai imparato come podcaster dalla tua esperienza?
«Tantissime cose. Fare podcast ha cambiato il modo in cui scrivo e il modo in cui parlo, per esempio, che per un giornalista non è poco. Mi ha insegnato a usare la voce, ma soprattutto essere chiaro, dritto, a provare sempre a farmi capire al primo colpo. In questo senso il lavoro fatto col Post mi aveva messo sulla buona strada: noi abbiamo una scrittura orale, semplice, che rifiuta tutte quelle espressioni molto presenti sui giornali ma che nessun essere umano utilizza a parte i giornalisti ("la bagarre", "è giallo", eccetera)».
Oltre a Da Costa a Costa, disponibile sulle varie app d'ascolto free, hai realizzato un altro podcast, The Big Seven, su Storytel (piattaforma su abbonamento). Quali ti sembrano vantaggi e svantaggi dei due modelli di business?
«Stare sulle piattaforme free permette potenzialmente di avere un pubblico estesissimo, più grande di quello che possa offrire qualsiasi servizio a pagamento. Da Costa a Costa ha cambiato la mia carriera e mi ha permesso di trovare un pubblico numeroso, ma se non avessi chiesto a quel pubblico di contribuire con una donazione, quel prodotto non sarebbe proprio esistito. Insomma, anche i podcast free devono essere monetizzati in qualche modo, e in linea generale il lavoro va pagato: fare un podcast in perdita pur di ottenere visibilità può essere utile, ma un mercato sbilanciato su questo tipo di offerta è un mercato immaturo. Dall'altra parte, oltre a risolvere il problema dei costi, le piattaforme ti permettono di di lavorare con un team di professionisti (editor, comunicazione, ufficio stampa, studi, etc) e trovare un pubblico diverso, magari anche internazionale. Però più piccolo, indubbiamente».
Sei anche un ascoltatore di podcast? Se sì, cosa ascolti, quanto e in che momenti della giornata?
«Ho ascoltato una o due puntate di tantissimi podcast diversi, ma quelli che continuo ad ascoltare nel tempo sono pochi. Le interviste di Ezra Klein. The Daily, naturalmente. This American Life. Politics di FiveThirtyEight. Il Daily del Corriere, di tanto in tanto Mia Ceran per Will. Poi quelli monografici, con un inizio e una fine. Storia, giornalismo, notizie. Non vado matto per il crime. Poco in italiano, a parte Barbero (ma vale davvero podcast?), Wikiradio (e questo?) e ogni tanto Muschio Selvaggio, ma ci sono tanti podcast di cui ascolto un episodio ogni tanto. Ho sempre ascoltato i podcast in viaggio: sui treni, in aereo, in macchina. Nell'ultimo anno ho avuto più difficoltà, come puoi immaginare».
Inoltre i tuoi due libri, Questa è l'America e Una storia americana, sono diventati degli audiolibri, su Storytel. Hai notato una differenza nell'esperienza dei tuoi audiolettori rispetto a quella dei tuoi lettori?
«Non saprei, perché sono due insiemi con un sacco di sovrapposizioni: magari ci saranno delle differenze, ma non le conosco davvero. Come autore, però, la differenza è abissale: il podcast nasce come un prodotto audio, l'audiolibro no. La scrittura è diversa, il ritmo è diverso, la produzione è diversa: i podcast nascono per essere ascoltati, i libri no. E agli audiolibri manca del tutto la serialità, che mi sembra un pezzo fondamentale dei podcast. Sono prodotti che hanno delle cose in comune, intendiamoci: ma meno di quanto possa sembrare».
Quanto vale il podcast?
Di Mirko Lagonegro, ceo e cofondatore di Digital MDE
Pochi giorni fa è stato pubblicato da IAB (Interactive Advertising Bureau) e PwC il documento U.S. Podcast Advertising Revenue Study che “pesa” il giro di affari del formato podcast negli Stati Uniti e offre qualche previsione sui due anni a venire. Queste le principali evidenze.
I ricavi pubblicitari dei podcast statunitensi hanno continuato a crescere nel 2020: rispetto al 2019, sono aumentati del 19% attestandosi a 842 milioni di dollari.
Nel 2021 dovrebbero arrivare a 1,3 miliardi di dollari, per poi crescere ancora: 1,7 miliardi nel 2022 e 2,1 nel 2023. Ciò significa che in due anni il mercato pubblictario crescerà tanto quanto è cresciuto negli ultimi dieci. Considerando che il giro d’affari della radio è stimato essere intorno ai 13 miliardi di dollari, a spanne possiamo dire che, tra due anni, il podcast negli US dovrebbe valere il 15% dell’intero advertising radiofonico.
Le inserzioni pubblicitarie dinamiche, che prevedono l’uso di specifiche tecnologie in grado di connettere editori ed inserzionisti, sono cresciute di quasi 20 punti percentuali.
Conseguentemente, si riduce l’impiego sia di quelle dette “baked in”, cioè messaggi pubblicitari preinseriti nel contenuto e quindi non rinnovabili automaticamente nel tempo, sia dei cosiddetti “host read”, gli annunci letti dal conduttore del podcast.
Il CPM, Cost Per Mille (impression audio), si afferma sempre più come la currency, la valuta per la compravendita di spazi pubblicitari in ambito podcast.
News, Comedy e, con un + 400%, Science sono le tipologie di contenuto che maggiormente attraggono gli investimenti delle marche.
Interessante notare la crescita di brand awareness e branded content come finalità per le quali viene usato il podcast, così come la pressoché totale scomparsa dell’approccio che prevede il product placement come modalità per l’inserimento di una marca nel contenuto.
Infine, la durata dei messaggi commerciali: nella metà dei casi è oltre i 30 secondi, il posizionamento all’interno del contenuto (midroll, ché il preroll non crea una grande user experience) pesa per il 75% del totale.
E dalle nostre parti? In Europa il mercato pubblicitario relativo all’intero comparto digital audio vale oggi un po’ meno di 500 milioni di euro, quota che IAB Europe prevede triplichi da qui al 2023, in larga parte proprio grazie ai podcast. Venendo all’Italia, per il 2020 il valore del digital audio è stato stimato dall’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano intorno ai 13 milioni di euro al netto dei podcast, il cui perimetro non è stato ad oggi ancora quantificato. Ciò perché molti publisher non si muovono in attesa di investimenti certi, mentre gli inserzionisti - che potrebbero e vorrebbero iniziare a investire in modo strutturato - non hanno contenuto “premium” al quale associare i loro messaggi pubblicitari. Chicken or egg, come dicono gli anglosassoni. Recentemente però qualcosa si sta muovendo: alcuni big stanno approntando una strategia, allestendo un’offerta e valutando tecnologie mature, affidabili e certificate per entrare da par loro in questo settore.
Certo, il mercato è ancora in una fase iniziale, ma val la pena ricordare che guardare all’oggi può essere fuorviante. Come dicono quelli che ne sanno, il confine tra opportunità – entrare per primi in un nuovo mercato – e problema – entrare per primi in un nuovo mercato – è solo questione di prospettiva. E solitamente, vince chi vede prima l’opportunità, anziché il problema.
Le notizie della settimana
Altri dati sui ricavi pubblicitari derivanti dai podcast arrivano da una nuova ricerca di Voxnest relativa alla sua piattaforma, Spreaker. Tra gennaio 2020 e marzo 2021 il tasso di crescita della pubblicità programmatica in Italia è stato del 37%. A livello mondiale l’advertising su podcast ha generato invece un aumento del 370% e le impressions mensili sono cresciute del 300%. I Paesi dove gli investimenti adv sui podcast sono aumentati di più sono Canada (+781%), Usa (+463%) e Uk (+78%). La categoria che genera maggiori ricavi nel mondo è il True Crime, seguita da Sport e da Society & Culture (si segnala anche il forte aumento di Health & Fitness e Arts & Books). Nel nostro Paese sul podio ci sono invece Society & Culture, Technology e Comedy. In Italia i comparti che nell’ultimo anno hanno investito di più sono Automotive, Shopping e Video & Computer Games.
Una ricerca di Blogmeter sull’Italia ha rilevato che l’85% dei millennial (nati tra il 1981 e il 1996) conosce o ha sentito parlare di podcast, contro il 71% della generazione X (1965-1980). E il 44% dei millennial, contro il 25% della generazione X, ne segue almeno uno. Ma anche per chi non ha ancora preso confidenza con i podcast emerge l’interesse: al 37% dei millennial e al 46% di italiani appartenenti alla generazione X piacerebbe provare ad ascoltarli. Per quanto riguarda la pubblicità, se il 72% dei millennial – e il 66% della generazione X – salta o non ascolta il messaggio pubblicitario inserito all’interno di un podcast, il 24% circa di utenti (millennial e generazione X) l’ascolta con attenzione. La varietà di pubblicità con cui si viene a contatto rientra in tipologie di messaggio differenti: da quella narrata dai podcaster – preferita dal 37% dei millennial – ai messaggi pubblicitari tradizionali, apprezzati in egual modo da entrambe le fasce di età.
The Essential, prodotto da Will Media e condotto da Mia Ceran, è diventato un’esclusiva Spotify. Nell’annunciare la notizia Spotify ha rilasciato alcuni dati sui podcast di notizie, categoria in cui rientra The Essential: nell’ultimo anno in Italia hanno registrato un +126% e ad ascoltarli sono in maggioranza uomini (57% in Italia, 54% a livello globale) e per lo più under 35 (68% in Italia, 62% a livello globale). Lo show di maggior successo in questa categoria è The Daily del New York Times, mentre in Italia è proprio The Essential.
Spotify ha annunciato che presto lancerà una versione beta limitata che introdurrà le trascrizioni automatiche per i propri podcast esclusivi e originali, con l'obiettivo di arrivare ad abilitare le trascrizioni su tutti i podcast pubblicati sulla sua piattaforma. La società ha anche introdotto un altro paio di miglioramenti in termini di accessibilità, comprese le funzionalità di leggibilità e le opzioni per il ridimensionamento del testo.
Domenica sera, il 16 maggio, durante una cerimonia a Los Angeles sono stati annunciati i vincitori degli Ambies, ossia i primi riconoscimenti in ambito podcast della Podcast Academy. Come podcast dell’anno è stato scelto Dying For Sex di Wondery. In totale la casa di produzione guidata da Hernan Lopez e acquisita qualche mese fa da Amazon ha vinto cinque premi. Crooked Media ne ha ottenuti quattro e QCODE tre. Il podcast con il maggior numero di premi, tre, è stato Wind of Change di Crooked Media.
Slate, giornale online statunitense, ha lanciato il proprio store per audiolibri in partnership con diverse case editrici americane (Penguin-Random House, Simon & Schuster, HarperCollins e Hachette). Gli audiolibri possono essere ascoltati sulle app d’ascolto per i podcast (vengono infatti distribuiti attraverso feed RSS privati) e possono essere acquistati singolarmente, senza la necessità di sottoscrivere un abbonamento. Il processo è questo: gli ascoltatori navigano nello store di Slate, acquistano un libro e quindi decidono se ascoltarlo online oppure attraverso un’app a loro scelta.
Cose da leggere
I costi nascosti degli abbonamenti ai podcast tramite app: un’analisi dei nuovi servizi di subscription di Spotify e Apple (da cui la prima esce meglio della seconda).
Ximalaya e l’economia delle orecchie: la più grande piattaforma di digital audio in Cina ha appena presentato domanda per diventare pubblica. Ecco cosa offre e come si sostiene economicamente.
Stiamo assistendo alla morte della narrativa a episodi?: i motivi per cui determinate serie audio non fiction funzionano e quelli per cui altre non funzionano.
Ecco come Bloomberg Media pensa di trasformare un podcast popolare in abbonati paganti: nell’ultimo anno i download di Odd Lots sono raddoppiati e da gennaio sono cresciuti del 35%.
Consigli di ascolto: podcast
Non so se ti capita mai di provare un piacere fisico mentre impari qualcosa di nuovo. A me sì. È l’effetto che mi ha fatto anche Evoluzione utile, il primo podcast di Giacomo Moro Mauretto. Giacomo è un laureando in biologia evoluzionistica e un divulgatore scientifico. Ha creato un progetto online disponibile su YouTube, Facebook e Instagram, intitolato Entropy for life, in cui parla di biologia. Nel podcast, un’originale Storytel, si concentra sulla teoria dell’evoluzione, che sviscera in otto interessantissime puntate da mezz’ora l’una. Si parla di rivoluzione neolitica e di sintesi moderna, di batteri antibioticoresistenti e di test della paternità (a partire, in quest’ultimo caso, da un aneddoto molto personale sulla vita del conduttore). Ho anche imparato l’equazione dell’allevatore (o del coltvatore), una formula prima a me totalmente ignota, ossia: ΔZ (il cambiamento evolutivo/morfologico) = S (la pressione selettiva su un carattere) x H² (l’ereditabilità di un carattere).
Anche Astrobio, su Audible, è frutto del lavoro di due straordinari divulgatori scientifici (benedetti siano loro e la loro passione appassionante). Sto parlando di Luca Perri (aka Astrowikiperri), astrofisico e youtuber, e di Adrian Fartade, esperto di storia della scienza e youtuber. I due insieme hanno già creato due podcast meravigliosi, sempre su Audible, quali Verso lo spazio e IgNobel. In questa sterminata serie composta da 14 puntate da oltre un’ora ciascuna (altre 14 sono in programma) Perri e Fartade raccontano le storie di altrettante persone che hanno fatto la storia dell’astronomia, dagli astronomi ignoti (sconosciuti che hanno trasformato la volta celeste in uno strumento su cui basare lo scorrere dell’esistenza) a Isaac Newton. Sempre con un’attenzione particolare all’utilizzo di un linguaggio e di concetti il più possibile inclusivi.
Varrebbe la pena di ascoltare Cara diva, podcast di Storielibere.fm prodotto in collaborazione con Venchi 1878, anche solo per la voce del narratore, il doppiatore e direttore del doppiaggio Francesco Pezzullo (noto soprattutto per essere la voce italiana di Leonardo Di Caprio). L’autore del podcast, invece, è sconosciuto. Ogni puntata, da 25 minuti circa, è una sorta di lettera d’ammirazione a una donna ambasciatrice del Made in Italy nel mondo. Nella prima la penna del misterioso ammiratore ricostruisce la storia di Chiara Ferragni, imprenditrice che «ha fatto suoi gli strumenti del futuro per conquistarlo» ed è riuscita a diventare un modello per giovani e adulti. I nuovi episodi verranno pubblicati a cadenza mensile sulle app free fino a ottobre.
La maggior parte delle ricerche sui podcast non tiene conto degli under 18, ossia delle persone appartenenti alla generazione Z. Eppure sono loro i potenziali ascoltatori del futuro. Buonanotte, di Chora Media, si rivoge proprio a questa fascia di età. Il podcast è una sorta di diario vocale contenente i racconti che due giovani amiche, idealmente, si scambiano prima di andare a dormire. In ogni episodio Cecilia Cantarano, 21 anni, e Valeria Vedovatti, 18 (tra le top influencer italiane di TikTok e Instagram) parlano di tematiche varie, dall’amore alla paura. Prima di ciascuna puntata le due ragazze sui social invitano i propri follower a mandare loro dei messaggi vocali su un determinato argomento, che fanno poi ascoltare e commentano nell’episodio successivo. Tutti i mercoledì e i sabato sulle app d’ascolto gratuite esce una nuova puntata, con una durata tra i 15 e i 20 minuti. Il podcast ha già raggiunto il primo posto nella classifica di Spotify, probabilmente - almeno in parte - grazie all’enorme seguito delle due conduttrici.
P.s.: ti lascio qui l’elenco dei 35 podcast italiani da non perdere secondo Vois.fm
Consigli di ascolto: audiolibri
Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong (traduzione di Claudia Durastanti): Little Dog, la voce di questo romanzo di esordio tradotto in tutto il mondo, ricostruisce in una lettera alla madre la storia della sua famiglia, segnata dalla guerra del Vietnam e dall’emigrazione negli Stati Uniti. Il narratore è l’attore, doppiatore e speaker Dario Sansalone. Edito da Audible, l’audiolibro è distribuito da Audible stesso. [Durata: sette ore e 28 minuti]
Fidanzati dell’inverno, primo volume della saga fantastica L’attraversaspecchi di Christelle Dabos (traduzione di Alberto Bracci Testasecca): in un universo composto da 21 arche vive Ofelia, una ragazza timida e goffa che può attraversare gli specchi e leggere il passato degli oggetti. Lavora come curatrice di un museo finché le Decane della città decidono di darla in sposa al nobile Thorn, della potente famiglia dei Draghi. La narratrice è l’attrice Liliana Bottone. L’audiolibro, edito da Emons ed Edizioni E/O, è disponibile su Storytel. [Durata: 14 ore e 29 minuti]
Leggere Lolita a Teheran di Nazar Nafisi (traduzione di Roberto Serrai): nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, mentre le strade e i campus di Teheran erano teatro di violenze tremende, la professoressa Nazar Nafisi ha dovuto spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura crescente alla catechesi islamica una delle più temibili incarnazioni dell’Occidente: la sua letteratura. Questo è il memoir dell’insegnante, che ora vive negli Usa. La narratrice è l’attrice Anna Della Rosa. L’audiolibro è edito da Storyside e distribuito da Storytel. [Durata: 16 ore e 28 minuti]
Nella testa del dragone di Giada Messetti: dal «Nuovo Mao» Xi Jinping alla sfida con gli Stati Uniti per la governance globale, dal Sogno cinese al progetto della Nuova via della seta, dalle incredibili innovazioni tecnologiche alle proteste di Hong Kong, fino allo scoppio dell'epidemia di coronavirus, l'autrice (qui anche narratrice) ci accompagna in un viaggio attraverso la Cina di oggi, facendo chiarezza tra stereotipi e realtà e aiutandoci a comprendere il presente e il futuro di un paese sempre più decisivo sullo scacchiere globale. L’audiolibro è edito da Mondadori e distribuito da Storytel. [Durata: cinque ore e 41 minuti]
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