Federica Tremolada: «Spotify rivoluzionerà il mondo dei podcast come ha fatto con la musica»
Buongiorno, io sono Andrea Federica de Cesco e questa è Questioni d'orecchio, la mia newsletter settimanale sul mondo dell'audio parlato. Nel numero di oggi puoi leggere l'intervista che ho fatto a Federica Tremolada, managing director di Spotify per Sud ed Est Europa, a proposito della strategia relativa ai podcast della piattaforma di streaming audio.
Buona lettura!
Negli ultimi due anni Spotify è diventata sempre più forte nel mondo dei podcast. La piattaforma di streaming audio guidata dallo svedese Daniel Ek, 37 anni, è entrata ufficialmente in questo settore nell’ottobre 2018, pochi mesi dopo il suo ingresso in borsa. Nel 2019 ha acquisito Gimlet Media e Anchor per circa 340 milioni di dollari e Parcast per circa 55 milioni (la prima e la terza sono società di produzione di podcast, la seconda una piattaforma per podcaster). Quest’anno è stata la volta di The Ringer, società multimediale specializzata nella produzione di podcast sportivi, comprata da Spotify per circa 200 milioni di dollari. L’azienda svedese si è inoltre impegnata nella produzione di podcast originali e ha ottenuto l’esclusiva di contenuti di successo come The Joe Rogan Experience. Per farsi un’idea dell’avanzata di Spotify nel campo è utile leggere qualche numero. Nel secondo trimestre finanziario del 2020 l’azienda contava 299 milioni di utenti attivi ogni mese, con un aumento del 29% sull’anno precedente; il 21% degli utenti ascoltava podcast, contro il 19% del primo trimestre. Alla fine di luglio la società, che ha lanciato diverse funzionalità per podcaster, inserzionisti e ascoltatori di podcast, aveva nel proprio catalogo oltre 1,5 milioni di podcast, di cui la metà è stata lanciata nel 2020. E a fine settembre ha annunciato che rispetto a un anno prima i nuovi programmi aggiunti sulla piattaforma erano cresciuti del 240% e che i nuovi podcast creati con Anchor erano aumentati del 380%. Il dato più eclatante è che Spotify sta addirittura scalzando la storica leader del settore, Apple: secondo il report di Voxnest “The State of the Podcast Universe: 2020 mid-year preview”, Apple detiene il 59% del mercato, Spotify il 41% (nel 2019 le percentuali erano 77% vs 23%). Tra gli stati dove Spotify è davanti ad Apple troviamo anche l’Italia. A guidare la strategia dell’azienda nel nostro Paese è Federica Tremolada, che da circa un anno e mezzo è managing director di Spotify per Sud ed Est Europa. Nata 40 anni fa a Monza e residente a Milano, Tremolada ha un’esperienza ventennale nel mondo dei contenuti e del digitale.
Come ha iniziato a lavorare nel settore audio?
«Ho da sempre una passione per la musica. Sono stata una violinista, finché non ho abbandonato il violino per iniziare a lavorare. Mi sono occupata prima di A&R in una casa discografica (i rappresentanti A&R, Artista & Repertorio, sono responsabili della scoperta di nuovi artisti da mettere sotto contratto, ndr) e poi di media partnership nella start up italiana Buongiorno. Quindi mi sono spostata negli Usa e ho lavorato a YouTube per oltre dieci anni. Quello nella musica è stato un ritorno. E posso dire lo stesso a proposito dei podcast: è un format che esiste da moltissimo tempo e che ascoltavo già nel 2006/2007 - si trattava di contenuti di intrattenimento che gli host radiofonici riproponevano in formato podcast».
Cosa faceva a YouTube?
«Curavo gli accordi con vari comparti media - tv, sport, editoria, creator digitali e musica: già prima di andare a Spotify avevo chiara la dinamica del business con le etichette discografiche, mi occupavo di diritti etc. Negli ultimi tre anni a YouTube mi sono occupata di prodotti Premium, nello specifico di YouTube Tv».
Cosa ne pensa delle opportunità offerte dall’audio parlato?
«L’audio sta acquisendo un’importanza sempre più rilevante nella nostra vita. Ormai le persone ascoltano audio tanto quanto vedono video. L’evoluzione tecnologica ci ha portato ad avere un’ubiquità per cui puoi fare più cose mentre ascolti e ad ascoltare ancora più audio. Quello dell’ascolto è uno spazio intimo, a cui ci si può dedicare anche in movimento. E molti creator video si stanno riconvertendo in creator audio: molte volte le dinamiche per il successo sono simili, altre vanno riadattate. Penso ai video “Do It Yourself”, un format che secondo Voxnest è cresciuto del 380% durante la pandemia: è necessario fare un adattamento per essere chiari anche in formato audio».
Che studi ha fatto?
«Ho studiato Economia per l’arte, la cultura e la comunicazione alla Bocconi. Durante l’università ho fatto uno scambio negli Usa, sono stata sei mesi in Florida. Ho iniziato la mia vita lavorativa a Milano, poi sono andata a Londra, sono tornata a Milano e quindi mi sono trasferita a San Francisco e dopo a New York».
Per quale motivo ha deciso di lavorare a Spotify?
«Ho sempre apprezzato i team internazionali e quando ero in America avevo deciso che sarei tornata in Europa solo se ci fosse stata una sfida internazionale. Spotify è presente in 26 Paesi - e le piattaforme audio, con le trasformazioni che stanno subendo, sono una bella sfida. Inoltre, durante la mia esperienza YouTube aveva un business model misto, basato sulla pubblicità e successivamente anche sulle subscription. Volevo andare in un’azienda dove la parte delle subscription fosse centrale. Infine c’era il tema del ritorno alla musica: per me è stato un caso di serendipity».
Cosa rappresentano per voi i podcast?
«Sono stati inseriti nella piattaforma nel 2015. Fino a poco tempo fa nella nostra area geografica non c’era un team che se ne occupava... In Italia oggi Spotify è la prima piattaforma per l’ascolto, come riferisce Voxnest. Stiamo assistendo a una crescita organica esplosiva, del 200% anno su anno. Abbiamo un milione e mezzo di titoli, con un aumento del 50% sull’ultimo anno. E c’è stata una crescita del 240% dei nuovi show. Sappiamo di essere nel pieno di un’evoluzione e, al tempo stesso, di essere solo all’inizio. Il 21% dei nostri utenti ascolta anche podcast e non solo musica: questo significa che dobbiamo lavorare per raggiungere il restante 79%. Anche per questo abbiamo lanciato la campagna globale “Musica e Podcast”».
Cosa avete rilevato dai vostri utenti?
«L’ascolto dei podcast risulta addictive: chi li ascolta trascorre più tempo sulla piattaforma. L’audience è molto giovane: l’utente medio musicale ha 35 anni, quello di podcast 26. Ci si approccia ai podcast per tre ragioni: la voglia di intrattenimento, di ascoltare una storia e di provare il senso di attesa associato ai racconti; il desiderio di approfondire determinate tematiche e di imparare lingue o cose nuove (come nel caso del podcast del professore Alessandro Barbero); la ricerca di compagnia - l’audio ha un meccanismo più intimo del video, si può ascoltare in vari contesti. Nel lockdown moltissime persone si sono rifugiate in questo medium anche per fare meditazione, yoga o per fruire contenuti di self-improvment. In Italia Voxnest ha registrato una crescita del 29% degli ascolti durante il lockdown».
Come funzionano le vostre playlist podcast?
«Intanto volevo sottolineare che abbiamo messo a disposizione per i podcast tutti gli strumenti di personalizzazione per la musica. Per quanto riguarda le playlist, nella versione italiana sono su base algoritmica (come "Your Daily Drive" negli Usa, pensata per gli ascolti in auto). All’estero mettiamo a punto anche playlist editoriali».
Nel resto del mondo, e soprattutto negli Stati Uniti, state producendo diversi contenuti originali. Quando inizierete a farlo anche in Italia, dove al momento avete lanciato un unico podcast in esclusiva - Uguali di ActionAid, con Roberto Saviano?
«Qualche mese fa in Spagna abbiamo lanciato XRey, un ritratto dell’ex re Juan Carlos scritto da due giornalisti. In generale il nostro obiettivo è quello di fornire sempre più contenuti di qualità ai nostri utenti. La nostra piattaforma ha lo scopo di connettere creator e utenti nel modo più innovativo, veloce e personalizzato possibile, con tutte le funzionalità a disposizione per la musica. Anche per questo abbiamo introdotto Spotify for Podcasters, in modo che i creator di contenuti audio possano guardare tutti gli analytics possibili per ogni singolo giorno. L’intenzione, ribadisco, è di dare voce a contenuti di qualità. E di garantire a ogni utente esperienze personalizzate».
Qual è il vostro approccio al mondo dei podcast?
«Siamo audio-first e offriamo una combinazione di musica e podcast. Oltre a Spotify for Podcasters, mettiamo a disposizione gratuitamente Anchor, che permette a chi voglia creare un podcast di iniziare da zero: è un ottimo strumento di democratizzazione del medium. In senso più ampio, è noto che Spotify ha trasformato il mondo della musica, portando positività in termini economici laddove il business model era ormai compromesso. Vogliamo fare lo stesso con i podcast».
Cosa ne pensa della vicenda di Joe Rogan (diversi dipendenti di Spotify hanno espresso preoccupazione per commenti giudicati transfobici e per dichiarazioni false contenute nel programma del podcaster statunitense, ndr)?
«Quello di Joe Rogan è da tempo uno dei podcast più seguiti al mondo: non l’abbiamo proposto sulla piattaforma suggerendo ai nostri utenti di ascoltarlo. Noi crediamo nella libertà di espressione, diamo voce a tutti i creator. D’altra parte, Joe Rogan è un host che crea polarizzazione. La nostra policy però è chiara: laddove le nostre regole non vengono seguite e si verificano casi di incitazione all’odio o alla violenza agiamo di conseguenza. Inoltre abbiamo strumenti che ci consentono di individuare comportamenti scorretti».
Quali podcast ascolta?
«Ascolto podcast sia in inglese sia in italiano. Mi piacciono molto i contenuti di news e approfondimento, come The Essential (il podcast di Will Media con le due principali notizie della giornata - lo trovi un modo molto innovativo, giovane e veloce di fare news) e The Daily del New York Times, e quelli true crime, come Veleno e Polvere. Recentemente ho ascoltato Bunga Bunga di Wondery, per capire come all’estero vedono Berlusconi, e XRey. E passo buona parte della settimana ad ascoltare i top podcast della classifica italiana di Spotify - spesso c’è il podcast di Barbero, un modo molto ingaggiante di conoscere la storia».
A settimana prossima!
