I podcaster non esistono più
Ora Spotify punta tutto sui creator video. L'obiettivo è convincere sempre più utenti ad abbonarsi alla piattaforma
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A volte fare podcast può cambiare la vita.
È successo a Earlonne Woods, un uomo afroamericano nato a Los Angeles 53 anni fa.
La prima volta che Woods finì in carcere aveva 17 anni: fu condannato a 10 anni per furto con scasso e per avere rapito uno spacciatore. Fu rilasciato dopo 6 anni e tre mesi, nel 1995. Nel giro di due anni era di nuovo dentro, in questo caso con una condanna a 31 anni per aggressione e tentata rapina.
Durante questo secondo periodo di detenzione Woods ha fatto le cose diversamente rispetto alla prima volta. Innanzitutto, si è messo a studiare. E ha fondato un’organizzazione mirata a far abolire la cosiddetta “legge dei tre colpi”, legge che in California prevede che dopo tre reati si venga condannati a un minimo di 25 anni di reclusione. In base a questa legge Woods era stato condannato a 31 anni di carcere, tantissimi.
Ma soprattutto, durante questo secondo periodo di detenzione nel carcere di San Quentin (California), nel 2017 Earlonne Woods ha dato vita a Ear Hustle, strepitoso podcast dedicato a storie di vita in carcere.
Lo ha fatto con il supporto di Radiotopia (podcast network gestito dalla piattaforma digitale Public Radio Exchange) e di Nigel Poor, docente universitaria che allora insegnava fotografia in carcere come volontaria. Un ruolo fondamentale lo ha avuto anche un altro detenuto, Antwan Williams, che oggi è un uomo libero e si occupa di musica e cinema.
Le sei stagioni del podcast, il primo registrato interamente dentro a una prigione, hanno ricevuto milioni di ascolti.
Ear Hustle ha ricevuto diversi premi, e nel 2020 è stato tra i finalisti per il primo premio Pulitzer per il giornalismo audio.
Non solo. Il podcast ha anche dato parecchia visibilità a Woods. E quella visibilità ha fatto due magie.
La prima nel 2018, quando Woods dopo 21 anni di carcere ha ottenuto la libertà condizionale, per essere poi assunto da Public Radio Exchange a tempo pieno proprio come produttore e co-conduttore di Ear Hustle.
La seconda magia è avvenuta pochi giorni fa, alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, quando il governatore della California ha deciso di concedere la grazia a 19 persone: tra queste c’era anche Woods.
🧑🎓 Iscrizioni aperte alla European Podcast Academy
Nelle ultime settimane tra le varie cose ho lavorato per Chora al programma della European Podcast Academy di WePod.
WePod è un progetto fighissimo che si occupa di creare sinergie in ambito podcast tra società di diversi Paesi europei. Sinergie che riguardano la produzione di podcast, ma anche le opportunità di formazione e molto altro.
Per quanto riguarda la formazione, Chora (che è uno dei partner del progetto) ha avuto il compito di organizzare la European Podcast Academy, di cui appunto io ho curato il programma.
Il corso si terrà a marzo, a Milano, sarà tutto in inglese e sarà focalizzato sul giornalismo audio. È gratuito, al netto delle eventuali spese di trasporto e alloggio.
Qui ci sono tutte le info.
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Negli ultimi anni YouTube ha riscritto il concetto di podcast, ambito in cui fino a poco tempo fa nessuno era più forte di Spotify. Non è più così, almeno non negli Usa, dove ora l’app più usata per consumare i podcast è YouTube.
Spotify però non sembra avere intenzione di stare a guardare passivamente. E infatti si è messa a fare concorrenza a YouTube nel campo in cui la piattaforma è più forte di qualunque altra: i video. O, più precisamente, i videopodcast, che per come sono intesi oggi non sono altro che canali di streaming video in cui varie persone chiacchierano tra loro, ciascuna con un microfono ben in vista.
Quindi, che cosa si è inventata questa volta Spotify per competere con YouTube?
La nuova era di Spotify
A metà novembre, davanti a una platea di centinaia di creator, Spotify ha tenuto nei suoi studios di Los Angeles un giga evento intitolato “Now Playing”. Sono state annunciate due novità importanti.
I creator che rispettano determinati requisiti (leggi: quelli più popolari) potranno guadagnare non solo dalla pubblicità, ma anche in base al consumo dei loro contenuti video da parte degli utenti Premium. In entrambi i casi dovranno passare dal nuovo Spotify Partner Programme.
Gli utenti Premium avranno la possibilità di guardare i videopodcast senza pubblicità.
Entrambe le novità si concretizzeranno nel 2025 e, per il momento, solo in alcuni Paesi anglosassoni, ossia Usa, UK, Australia e Canada.
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Dopo questo annuncio sono usciti un sacco di articoli che hanno a che fare con le nuove mosse di Spotify sul fronte dei videopodcast, ma anche sul ruolo di YouTube in questo ambito e sui videopodcast in generale. Riassumo qui un po’ di cose che sono emerse, insieme a qualche dato.
Innanzitutto, da dove spuntano questi videopodcast?
I videopodcast esistono da un sacco di anni. Basti pensare che The Joe Rogan Experience, il podcast e videopodcast più popolare al mondo, esiste dalla vigilia di Natale del 2009 (15 anni fa!!!). E la componente video c’era sin dagli inizi. Al principio JRE andava in onda su una piattaforma streaming chiamata Ustream, oggi di proprietà di IBM. L’approdo su YouTube è avvenuto nel 2013.
Intanto The Joe Rogan Experience si è riconfermato il podcast più ascoltato su Spotify a livello globale per il quinto anno consecutivo, seguito da Call Her Daddy di Alex Cooper in seconda posizione e Huberman Lab di Andrew Huberman in terza. Tutti e tre sono videopodcast.
Un fatto curioso è che negli anni intorno al 2010 in Francia il termine “podcast” era usato per riferirsi ai canali YouTube di stand-up comedian & Co. Lo racconta un paper pubblicato nel 2022:
«Nel 2010 i podcasteurs erano i comici che parlavano direttamente alla telecamera e pubblicavano brevi sketch su YouTube. […] Questo significato è stato sostituito solo quando i “podcast veri e propri” sono cresciuti di popolarità in Francia e la notorietà di questi YouTuber è diminuita. […] Siamo noi a scegliere cosa è e cosa sarà un podcast».
💡 Su quest’ultima punto aggiungo la visione di Tom Webster (super esperto del mercato dell’audio), secondo cui la definizione di "podcast" deve evolversi insieme al pubblico e alle piattaforme che lo ospitano, senza limitarsi a un particolare formato tecnico.
E davvero i videopodcast sono così popolari? Perché?
Sì, i videopodcast sono più popolari che mai, non solo su YouTube ma anche su Spotify. Nell'ultimo anno il numero di persone che consumano videopodcast su Spotify è cresciuto dell'88%. Oltre 250 milioni di utenti hanno guardato almeno uno degli oltre 300.000 videopodcast disponibili sulla piattaforma.
Daniel Ek ha ammesso candidamente che se cinque anni fa qualcuno gli avesse detto che le persone avrebbero voluto vedere gente che parla seduta davanti a un microfono non ci avrebbe creduto. (Nemmeno io.)
Tra ottobre 2022 e agosto 2024 negli Usa la percentuale di adulti che preferisce il consumo di podcast con video è aumentata di 10 punti percentuali, passando dal 32% al 42%.
💡 Tra le principali ragioni per cui i videopodcast sono così popolari ci sono il fatto che la componente video rende più facile concentrarsi sui contenuti e il desiderio di vedere le espressioni facciali di conduttori e ospiti.
Ma il mercato non è già saturo?
Sotto certi aspetti, di sicuro sì. Un’altissima percentuale di videopodcast è composta da contenuti talk o da interviste. Quanti contenuti di questo tipo hai già intercettato? Io una marea. E non mi sembra di essere l’unica.
Di recente Tim Ferriss, che ha un’ormai storico podcast d’interviste, ha smesso per quattro mesi di produrre nuovi episodi per ragionare su come innovare il suo progetto. Aveva infatti la sensazione che il format fosse diventato ormai troppo ripetitivo e prevedibile.
Molti podcaster stanno esplorando alternative alle interviste, anche perché trovare e gestire ospiti interessanti è impegnativo. E poi perché gli ascoltatori tendono a preferire voci familiari; e allora tanto vale farsi affiancare da co-conduttori regolari o prediligere i monologhi.
🤔 In ogni caso, i podcast talk e i podcast monologo sono i più facili e, in genere, economici da produrre. Proprio per questo ormai ce ne sono una valanga, e distinguersi tra la massa non è affatto semplice.
Qual é il ruolo di YouTube?
Non solo è la piattaforma di contenuti video in generale e di videopodcast in particolare più usata al mondo: anche la piattaforma più usata per il consumo di podcast audio.
Non è un caso.
Dopo che i podcast durante la pandemia di Covid-19 sono diventati di moda, YouTube ha iniziato a investire nel settore per posizionarsi tra i leader del mercato. Per esempio, ha aggiunto i podcast su YouTube Music e ha introdotto la possibilità di caricarli su YouTube tramite feed Rss.
Un recente studio sul consumo di podcast negli Usa ha rivelato che la maggior parte degli ascoltatori preferisce ancora consumare contenuti solo audio: solo il 14% dei consumatori di podcast *guarda* oltre i tre quarti dei podcast che consuma. Eppure, il 39% del totale dei consumatori di podcast usa YouTube.
Rispetto alle altre piattaforme YouTube si distingue soprattutto su due fronti:
discoverability: il suo algoritmo permette di scoprire facilmente sempre nuovi contenuti in linea con i gusti dell’utente, alimentando così la fruizione continua;
engagement: la componente video fa sì che molti utenti rimangano parecchio tempo nella piattaforma.
💡 Un elemento interessante che emerge dalla ricerca è che, a livello demografico, tra chi consuma soprattutto podcast video e chi consuma soprattutto podcast solo audio non c’è praticamente differenza.
Ovviamente ci sono molti altri aspetti che determinano la popolarità di YouTube. La possibilità che YouTube dà di fare community attraverso un’efficacissima sezione commenti, per esempio. Oppure il vantaggio di avere già una componente video nel momento in cui bisogna andare a creare contenuti promozionali per Instagram e TikTok. E anche, ovviamente, la facilità di utilizzo.
Tutto ciò fa sì che i contenuti su YouTube riescano a ottenere un gran numero di visualizzazioni. E molte visualizzazioni vuol dire molti guadagni.
Ecco, parliamo di soldi.
Ed entriamo nel merito delle novità di Spotify.
Fino ad oggi sia su YouTube sia su Spotify il modo principale che i creator avevano per monetizzare era la pubblicità. Posto che il mercato stabilisce che si guadagnano X euro ogni 1.000 visualizzazioni/ascolti di un’inserzione pubblicitaria (è il cosiddetto CPM, costo per mille impressioni), più views/ascolti si fanno più il guadagno aumenta.
Ora Spotify vuole cambiare strategia.
Secondo Spotify, la scelta di puntare sugli abbonamenti riflette i suoi punti di forza. Il copresidente della società Gustav Söderström ha spiegato che Spotify è molto più grande di YouTube come piattaforma su abbonamento. E quindi - ha detto lui - è logico per Spotify basare la propria strategia su questo vantaggio, così come YouTube si basa sulla sua forza nella pubblicità (anche se YouTube Premium prevede un meccanismo praticamente uguale a quello introdotto da Spotify → più gli abbonati guardano il tuo contenuto più guadagni).
YouTube riconosce alla maggior parte dei creatori di video una quota del 55% dei ricavi degli annunci pubblicitari venduti per i loro contenuti. Spotify stima che un programma che raggiunge da 1 a 2 milioni di visualizzazioni in un mese guadagnerebbe circa 50.000 dollari con il suo nuovo modello.
D’altra parte, la novità di Spotify mette davanti in difficoltà molti network di podcast e molti podcaster, abituati a guadagnare proprio dalla pubblicità.
Perché la pubblicità nei podcast è così importante per i podcaster?
Come ha spiegato Ashley Carman, gli annunci dinamici (ossia quel tipo di slot pubblicitari che possono essere riempiti con annunci diversi in base alla domanda degli inserzionisti e al target) sono fondamentali per l’industria dei podcast. La loro adozione su larga scala ha aiutato il settore a crescere, perché inserire dinamicamente gli annunci significa che un singolo slot pubblicitario può essere riproposto più e più volte.
Tutti gli accordi milionari degli ultimi anni nel mondo dei podcast si sono basati principalmente proprio sul calcolo del numero di impressioni medie dei vari podcast moltiplicato per il costo per 1.000 impressioni (il CPM).
E allora perché Spotify vuole che i podcaster rinuncino alla pubblicità?
Söderström ha detto che la decisione di esplorare una strada alternativa alla pubblicità nasce dal fatto che sempre più ascoltatori sembrano patire il moltiplicarsi delle pubblicità nei podcast. (Anche se i creator potranno comunque registrare pubblicità “baked-in” all’interno del loro podcast.)
E uno dei motivi per cui gli utenti decidono di passare alla versione a pagamento dell’app - che è poi il principale obiettivo di Spotify: avere più utenti Premium possibile - è la possibilità di avere contenuti senza interruzioni pubblicitarie.
Ma davvero la gente si abbonerà alla piattaforma per consumare i videopodcast senza pubblicità?
E davvero il numero di utenti che decideranno di passare al piano Premium sarà tale da permettere a Spotify di compensare i creator per le mancate entrate pubblicitarie?
Ancora peraltro non è chiaro in che modo e in che misura i creator/podcaster saranno compensati per il consumo dei loro contenuti video da parte degli utenti Premium.
Il mio sospetto è che queste ultime novità di Spotify saranno poco dirompenti. E di sicuro non faranno la differenza per la stragrande maggioranza dei podcaster/creator, quelli non abbastanza grandi da poter aderire al nuovo Spotify Partner Programme.
In tutto ciò, i podcaster esistono ancora?
Mi sembra che la crescita dei videopodcast stia creando una distinzione sempre più evidente tra la figura del podcaster e quella del creator. Dove il podcaster ha un ruolo più indipendente dalle piattaforme e crea contenuti in cui spesso emergono la sperimentazione e la drammaturgia audio, e il creator crea soprattutto contenuti che rispondono alle logiche e alle esigenze delle varie piattaforme, e che quindi sono - almeno in teoria - più facilmente monetizzabili.
Spotify, evidentemente, è sempre più interessata ai creator anziché ai podcaster.
Lo dimostra anche un piccolo, grande cambio terminologico delle ultime settimane: la piattaforma per gestire e promuovere podcast e videopodcast, che fino a poco tempo fa si chiamava Spotify for Podcasters, è stata ribattezzata Spotify for Creators.
L’importante, per chi crea contenuti, è rimanere vigili: l’esperienza ci insegna che diventare troppo dipendenti dalle logiche delle piattaforme non è mai un bene.
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📚 Consigli di lettura per approfondire
Spotify’s Big Bet on Video Podcasts: Win for the Podcast Industry or Just Hype?
Spotify is no longer a money-losing music app. So what is it now?
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Il business dei podcast
Spotify ha chiuso il terzo trimestre 2024 risultati molti positivi, tanto che per il ceo e cofondatore Daniel Ek «la società non è mai stata in una posizione più forte». Gli utenti attivi mensili sono cresciuti dell’11% anno su anno, arrivando a 640 milioni (di cui 252 sono abbonati paganti). I ricavi totali sono aumentati del 12%, e hanno superato i 4 miliardi di euro.
📍 Giovedì 5 dicembre a Milano c’è stata la seconda edizione di The Podcast Era, l’evento di Spotify dedicato al podcasting.
🚨 Attenzione: su Spotify sono apparsi playlist e podcast che rimandano a link fraudolenti.
iHeart Media, la principale azienda audio statunitense, ha licenziato quasi il 5% del suo personale. E sono previsti tagli anche a Cumulus Media, il terzo operatore radiofonico del Paese. Le radio negli Usa sta vivendo un paradosso: raggiunge un vasto pubblico e attira investimenti pubblicitari importanti, eppure la sua forza lavoro continua a ridursi.
Nel 2025 all’offerta de Il Post per gli abbonati si aggiungeranno tre podcast oggi gratuiti (Globo, Ci vuole una scienza e Amare parole) e la newsletter Charlie.
L’avanzata degli audiolibri
Negli Usa, in UK e in Canada il catalogo audiolibri di Audible fa ora parte di Amazon Music: gli abbonati Unlimited possono ascoltare gratuitamente un titolo al mese.
Intanto Spotify ha introdotto varie funzioni per migliorare l’esperienza con gli audiolibri nella propria app. Tra le altre cose sta testando la possibilità per autori ed editori di abbinare un breve video a un audiolibro specifico.
La società inoltre ha da poco lanciato Spotify for Authors, piattaforma per autori ed editori che facilita la monetizzazione e la promozione dei loro audiolibri.
📚 Consiglio di lettura: Audiobooks Versus Podcasts
Un Paese di ascoltatrici e ascoltatori
L’indagine Audible Compass 2024, condotta da Verian, dice che gli italiani sono sempre più appassionati di audio entertainment. Nell’ultimo anno ha ascoltato un audiolibro, un podcast o una serie audio il 76% degli intervistati, il 6% in più rispetto al 2023.
Oltre 1 su 10 che ascolta audiolibri legge anche, e letteratura e nerrativa sono i generi preferiti dagli ascoltatori italiani (caso unico in Europa).
La cassetta degli attrezzi AI
GenFM di ElevenLabs è una nuova alternativa a NotebookLM di Google per creare podcast a partire da materiali vari. Lo è anche Notebook Llama di Meta, che peraltro è open source.
Intanto Wondercraft ha introdotto la possibilità di editare i podcast generati con NotebookLM.
Il nuovo editor musicale AI di Nvidia, Fugatto, è in grado di generare musica, suoni e discorsi tramite input testuali e audio.
💡 Amazon sta contattando vari editori giornalistici per informarli della possibilità di concedere in licenza i loro contenuti per la prossima generazione dell'assistente vocale Alexa, il cui debutto è previsto per il prossimo anno.
👉 News sull'AI che ci danno gioia
-Ora si possono trascrivere i messaggi vocali via WhatsApp (😍).
-La società di telecomunicazioni O2 ha lanciato Daisy, strumento AI con la voce da nonna contro le scam telefoniche.
-VERDAD permette di individuare eventuali fake news diffuse via radio, in spagnolo.
Gli highlights di Lucia Festival
Dal 12 al 15 dicembre torna a Firenze il Lucia Festival, festival dedicato alle narrazioni sonore (qui il programma). Il 12 avrà luogo a Villa Romana e al cinema Astra, gli altri giorni a Cango - Cantieri Culturali Goldonetta. Ho chiesto alle direttrici artistiche Carola Haupt e Luisa Santacesaria di segnalare alcuni eventi. Ecco qui la loro selezione.
Lucia 2024 apre con Life Chronicles of Dotothea Ïesj S.P.U. che, a differenza di tutti gli altri lavori presentati al festival, è un film senza immagini, un audio-racconto che si colloca alla frontiera tra radio, cinema e letteratura.
Da non perdere poi le prime dei due nuovi lavori prodotti con il programma di mentorship YASS! You Are So Sound!: sono Reality looks back di Anne Jeppesen, che si ascolterà la sera del 13 dicembre, e The only animal that can speak? di Katie Revell, di cui l’ascolto è previsto nella tarda mattinata del 14.
Altro appuntamento imperdibile per ogni audio-maker è l’incontro di domenica 15 con SANTINI, evento dedicato a professionist* della produzione audio, della radio e del podcasting.
La mattina di sabato 14 la scena è riservata alla Carte Blanche Semi Silent, incredibile realtà di Bucarest dedicata alla ricerca e alla produzione nella sound art, che guiderà una sessione di ascolti insieme all’artista Ana Teodora Popa.
La mattina di domenica 15 è invece il momento di “Oltre il bosco dei sogni”, ginnastica per le orecchie guidata dall’artista e performer Maria Pecchioli, che trasformerà il passaggio fra il sonno e la veglia in un risveglio sensoriale.
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Chi è l’essere umano dietro a questa newsletter
Mi chiamo Andrea de Cesco e sono una giornalista con una forte dipendenza da podcast e newsletter.
Nel 2019 ho unito queste due passioni e ho dato vita a Questioni d’orecchio: un magazine in formato newsletter sul mondo dei podcast e degli audiolibri.
Dopo vari anni al Corriere della Sera, ora sono una freelance. Tra le varie cose, collaboro con Chora e Will Media come direttrice editoriale della formazione e strategy consultant, e parlo di podcast su LifeGate Radio.
Ho una laurea in Lettere Antiche e un master in giornalismo, che ho preso dopo un anno trascorso tra Londra e Barcellona. Oggi vivo a Maiorca, ma torno spesso nella mia adorata pianura padana.
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