Intervista a Luca Micheli, sound designer: «Ricamo intorno alle parole per dare un’identità sonora alle storie»
Dietro a ogni programma radiofonico e podcast ci sono moltissimi professionisti, dal cui lavoro di squadra dipende il risultato. Un ruolo centrale è sicuramente quello del sound designer: è suo il compito di trasportare gli ascoltatori nella storia attraverso la musica e gli effetti sonori. Ecco perché ho deciso di fare quattro chiacchiere con Luca Micheli, uno dei più bravi sound designer in Italia, attivo sia nella radio sia nell'ambito dei podcast (si è occupato di Veleno, Buio e La piena). Nell'intervista (pubblicata sul sito del Corriere della Sera) Micheli racconta il proprio percorso, cos'è il sound design, in che cosa consiste il suo lavoro, quali sono gli strumenti del mestiere e cos'é cambiato negli ultimi anni.
Buona lettura!
P.s. Io sono Andrea Federica de Cesco e questa è Questioni d'orecchio, la mia newsletter dedicata al mondo dell'audio parlato. Per segnalazioni, suggerimenti e commenti scrivetemi all'indirizzo email andreaf.decesco@gmail.com
«Fare sound design significa trovare il suono giusto per la storia che stai raccontando, nel rispetto della storia stessa. Bisogna saper ricamare intorno alle parole, lasciarsi guidare dal copione e dalle voci. Poi si amalgama tutto come se fosse una canzone, con un inizio, uno svolgimento e una fine». A parlare è Luca Micheli, 41enne originario di Lecco, che oltre a essere un produttore e un consulente musicale è anche uno dei migliori sound designer in Italia. Professione, quest’ultima, che esercita sia in ambito radiofonico - dove ha iniziato - sia in quello dei podcast. «La gestione del tempo e dei ritmi è molto diversa», spiega Micheli. «Nella radio è tutto veloce, hai poco tempo per rielaborare: devi andare in onda. E devi tenere conto dei limiti della diretta, oltre che di quelli del palinsesto: se una telefonata va per le lunghe o se un ospite è debole devi intervenire. Nel podcast invece hai il vantaggio della post-produzione: puoi tagliare, montare, rifare. Ci si può lavorare molto, si possono fare modifiche. Anche se il rischio è quello di perdersi nei dettagli, perché si trova sempre qualcosa da sistemare: a un certo punto è necessario chiudere. Io consiglio sempre di riascoltare a distanza di qualche giorno».
Il lavoro nei podcast per il 41enne rappresenta una sorta di ritorno al passato. «Ho cominciato con i radiodrammi, il mio riferimento è Ritratto di città di Berio e Maderna, del 1955: secondo me, meglio di Serial». Da sempre appassionato di musica, Micheli stava studiando Musicologia all’università di Cremona quando ha fatto il suo primo, illuminante incontro con l’audio parlato, grazie a un corso sulla messinscena radiofonica tenuto da Gaetano Cappa: «Ci ha lasciato il numero di telefono, sono stato l’unico a chiamare. Mi ha invitato nel suo studio, un appartamento in corso Garibaldi a Milano. Per diverso tempo, sono rimasto lì giorno e notte. Per lo più preparavo il caffè e facevo le fotocopie, ma capitava anche che Cappa e Marco Drago mi facessero lavorare per il loro programma su Radio 3, Razione K, a cui poi è seguito La fabbrica di polli. Facevamo una radio molto montata, prodotta, scritta, legata alla musica».
Il suono è rimasto una componente centrale dei lavori di Micheli: «Per anni ho curato su Radio 2 Pascal di Matteo Caccia: tutti i giorni, in diretta, dovevo costruire un’identità sonora per ogni storia. E ora faccio un lavoro simile con Linee d’ombra, il nuovo programma di Matteo su Radio 24, e con Miracolo italiano di Fabio Canino e LaLaura, su Radio 2. La musica è importantissima: cambiandola si mette l’accento su aspetti diversi, si trasforma il modo di raccontare del narratore». Poi, qualche anno fa, è arrivata anche la volta dei podcast. «Ho la fortuna di lavorare con il Messi e il Ronaldo del settore», scherza Micheli, che si è occupato di Veleno (nello specifico, della puntata zero e dell’ottava) e Buio di Pablo Trincia e de La piena di Matteo Caccia, per cui sta seguendo un nuovo progetto su Karim Franceschi (il combattente italiano che per primo nel 2015 si unì alle Unità popolari curde per difendere Kobane dall'assedio dell'Isis): «Quando lo avremo concluso, vorrei pubblicare un disco con la colonna sonora del podcast su Karim».
Il sound designer, che nei prossimi mesi lancerà con Jonathan Zenti, Francesco Baschieri e Valerio Maggio una casa di produzione di podcast battezzata Agave, racconta il proprio metodo di lavoro: «Riascolto con attenzione ogni puntata per capire dove ci sono criticità. In radio si tagliano tutti gli spazi bianchi, si bada solo al contenuto. Invece nei podcast posso lasciare le esitazioni, i momenti di vuoto. In ogni caso, non faccio nulla fino a che non ho ascoltato le voci dei protagonisti. Ma non voglio vedere le foto, preferisco immaginarmi la persona, la scena. Serve avere delle visioni per poter creare l’ambientazione adatta attraverso la musica e gli effetti sonori».
Ma come si diventa sound designer? Per Micheli la gavetta è stata fondamentale: «Nel mio caso la svolta è avvenuta all’inizio, con Cappa e Drago: con loro ho colto l’enorme potenziale creativo di questo mestiere. Musicalmente un incontro per me cruciale è stato quello con Gino Pacifico, che ho seguito in concerto. E poi ci sono diversi lavori che mi hanno dato piccole illuminazioni, per ultimo Tunnel 29 della Bbc». In generale, a detta del 41enne la cosa più importante è allenare le orecchie, ascoltare molto il lavoro degli altri e sperimentare, fino a ottenere la sensibilità giusta. E proprio per questo consiglia di investire su un buon paio di cuffie, in grado di avvolgere bene l’orecchio, da utilizzare sempre quando si registra: «Bisogna imparare a capire come suona ciò che si ascolta, provare a trovare un equilibrio tra voci e musica anche senza conoscenze tecniche: se ci si mette a comprimere e a equalizzare senza averne le competenze si rischia di fare delle boiate».
Gli altri strumenti da avere (e da saper usare) sono un software audio (come Reaper, Garage Band o Audacity), un microfono usb (meglio se dinamico), delle casse monitor e un registratore digitale. Per quanto riguarda la raccolta dei suoni, si possono fare registrazioni sul campo o in studio oppure attingere alle varie librerie online. «Io produco anche la musica, con chitarre, sintetizzatori e software ad hoc», prosegue Micheli. «Al principio scelgo quale tipo di suoni usare, come si farebbe con una tavolozza di colori, per evitare di perdermi nelle infinite possibilità esistenti: chiudere il cerchio e autolimitarsi è funzionale ad avere un’unità sonora».
Quella del sound designer, riflette Micheli, è una professione che ha iniziato a essere apprezzata davvero soltanto negli ultimi tempi. E forse anche per questa ragione al momento non esiste un percorso formativo dedicato: «Più che altro ci sono corsi per tecnici o ingegneri del suono. Oppure workshop come quello che abbiamo curato io e mia moglie Sabrina Tinelli (autrice radiofonica, ndr) insieme alla professoressa di Comunicazione radiofonica Gaia Varon. Abbiamo insegnato agli studenti della Iulm come fare un podcast: sono venuti fuori risultati interessanti, forse anche perché ci sono pochi riferimenti». Infatti fino a qualche anno fa - osserva il 41enne, che ha lavorato a lungo come consulente musicale per la tv (tra gli altri, per Mtv e X Factor) - audio e radio erano considerati i fratelli minori della tv e del cinema: «Adesso le cose sono cambiate, ci siamo ripresi una dignità e un’identità nostre. Il sound design finalmente è suono legato al suono».
Alla prossima settimana!
