La resa dei conti delle podcast election
Come Joe Rogan e i vari podcast bro hanno contribuito a fare diventare Trump il 47esimo presidente degli Stati Uniti
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Quando era ormai chiaro che sarebbe stato il prossimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump è apparso in pubblico a cantare vittoria affiancato da una variegata serie di personaggi famosi. Tra questi c’era anche Dana White, presidente dell'Ultimate Fighting Championship e caro amico di Trump.
A un certo punto White ha preso la parola e ringraziato diverse persone. Ha sottolineato in particolare l’ultimo ringraziamento, quello a un’altra celebrità nel mondo delle arti marziali miste (nonché ex dipendente dell'Ultimate Fighting Championship in qualità di commentatore): Joe Rogan.
Rogan è oggi l’host del podcast più famoso al mondo, The Joe Rogan Experience, a cui ha dato vita 15 anni fa. Il canale YouTube è seguito da oltre 18 milioni di persone, su Spotify gli iscritti sono 16 milioni.
Non a caso, sia Trump sia Kamala Harris, la candidata per il partito democratico, ambivano fortemente ad apparire nel podcast.
Trump alla fine ce l’ha fatta: è volato ad Austin, in Texas, ed è andato a farsi intervistare negli studi di Rogan.
Harris invece ha perso l’opportunità. Rogan infatti non ha accettato le condizioni poste dal suo staff, che includevano che fosse Rogan stesso ad andare da Harris e che l’intervista durasse un’ora al massimo (ossia molto meno della media delle puntate di JRE).
La puntata con l’intervista a Trump è uscita il 26 ottobre, e in dieci giorni ha ottenuto 45 milioni di visualizzazioni. Un record.
Alla vigilia delle elezioni Rogan ha dichiarato il proprio sostegno al candidato repubblicano.
Girano già meme che mostrano Harris pentita dell’occasione persa, a indicare quanto alcuni podcast siano diventati rilevanti nel plasmare l’opinione pubblica.
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La resa dei conti delle “podcast election”
Durante la campagna elettoriale sia Donald Trump sia Kamala Harris si sono fatti intervistare in parecchi podcast.
Qui i podcast in cui è apparso Trum: The Joe Rogan Experience, Six Feet Under con il wrestler Mark Calaway, Flagrant con il comico Andrew Schulz, Bussin with the Boys con gli ex giocatori di football Will Compton and Taylor Lewan, This Past Weekend con Theo Von, Lex Fridman Podcast, Full Send Podcast con i Nelk Boys, The Dan Bongino Show, Impaulsive con Logan Paul e All In Podcast (Dana White nel video sopra ha ringraziato anche un paio di questi podcaster, oltre a Rogan).
Questi quelli in cui è apparsa Harris: Call Her Daddy con Alex Cooper, All the Smoke con Matt Barnes e Stephen Jackson, The Howard Stern Show, Unlocking Us con Brené Brown, The Breakfast Club con Charlamagne Tha God, Jess Hilarious e DJ Envy, Club Shay Shay con Shannon Sharpe.
Com’è evidente, Trump ha puntato sui podcast ancora più di quanto abbia fatto Harris: in totale le interviste podcast al candidato repubblicano hanno accumulato oltre 100 milioni di views (i numeri delle visualizzazioni delle interviste a Harris sono mooolto inferiori).
Pare che a consigliarlo sia stato il figlio Barron, 18 anni. Attraverso i podcast Trump mirava a intercettare soprattutto gli elettori repubblicani non tradizionali, quelli che tendono a non andare a votare.
In ogni caso, è la prima volta che due candidati alla presidenza degli Stati Uniti puntano così tanto sui podcast durante la campagna elettorale, anche a discapito dei media tradizionali.
Secondo un sondaggio di USA Today e la Suffolk University di Boston, le interviste podcast a Trump e Harris sono state intercettate da circa 1 elettore su 4. E l’impatto di queste interviste è stato molto più favorevole per Trump che per Harris.
Niente di sorprendente, visto che - come hanno scritto in molti - una grande fetta dei podcast più popolari negli Usa ha un pubblico di destra o estrema destra. Qui Pietro Minto su Link:
Resta il sospetto, che, così come l’alt right aveva saputo sfruttare i meccanismi più perversi dei social nel 2015-2016, oggi stia dominando anche i podcast, settore nel quale possono ormai ambire a qualcosa di simile a un’egemonia culturale.
Ma perché tutta questa attenzione sui podcast? Secondo Ashley Carman ci sono almeno tre motivi:
il numero di persone negli Usa che ascoltano podcast mensilmente è più che raddoppiato dal 2016 (alcuni dei podcast citati sopra fanno milioni di ascolti a episodio);
le persone si fidano parecchio dei loro podcaster di riferimento, che quindi possono influenzare il loro pubblico più di altri media;
i giovani, soprattutto gli uomini, passano sempre più tempo ad ascoltare i podcast.
In Brasile vari membri delle forze dell'ordine (molti dei quali si sono candidati alle scorse elezioni municipali) sono sempre più famosi sui social grazie all'aumento di popolarità dei podcast policial (ossia a tema poliziesco).
Un tribunale russo ha multato Apple per 36.000 dollari per non aver rimosso due podcast che contenevano «informazioni volte a destabilizzare la situazione politica in Russia».
Spotify continua a spingere sui videopodcast
Ashley Carman ha scritto su Soundbite, la sua newsletter per Bloomberg, che Spotify intende costruire degli studi per produrre videopodcast vicino a Hollywood, in modo da semplificare la logistica ai creator della zona.
👩💻 Parlando di semplificare la vita ai podcaster, Spotify ha introdotto uno strumento per l’automoderazione dei commenti.
Negli Usa Spotify sta sperimentando un "ad exchange" (ossia una piattaforma online in cui gli inserzionisti acquistano inventario pubblicitario digitale dagli editori) per scalare la sua offerta di inserzioni automatizzate. Il focus, almeno al principio, è proprio sui video. Oggi, secondo Guideline, gli annunci video rappresentano il 20% degli annunci digitali di Spotify.
Intanto Spotify ha stretto una partnership con Double Verify per garantire la qualità degli annunci video sulla piattaforma.
Ma quindi il mercato dei podcast come sta?
Secondo una recente stima, il fatturato annuale dell'industria globale dei podcast è pari a 3,94 - 4,75 miliardi di dollari. La stima si basa sui dati disponibili di vari segmenti dell'industria, tra cui pubblicità, hosting, attrezzature, supporto diretto agli ascoltatori, eventi eccetera. Come si vede, la pubblicità incide per oltre il 70%.
A livello mondiale nel 2024 il mercato pubblicitario dei podcast potrebbe superare i 4 miliardi di dollari e raggiungere i 5 miliardi di dollari entro il 2027. Quest’anno si dovrebbe arrivare a oltre 462 milioni ascoltatori, per superare i 500 milioni nel 2025 e raggiungere i 600 milioni nel 2027.
Sul fronte europeo, il mercato dovrebbe crescere di 2,21 miliardi di dollari entro il 2028, con un tasso di crescita annuale composto del 36,5% nei prossimi quattro anni. La crescita è attribuita, tra le altre cose, all’aumento dei servizi in abbonamento.
Davvero il podcast Hoy en EL PAÍS ha ottenuto milioni di download?
Può darsi, ma - come ha scritto James Cridland su Podnews - molti erano download automatici dietro a cui non c’era alcun ascoltatore. Quando un utente accedeva alla homepage del giornale spagnolo, si generava automaticamente un download del podcast (uso il passato perché El País ha dichiarato di avere risolto “il problema”, e ha detto che sta facendo delle verifiche per capire che cosa sia successo). È una notizia che risolleva le già note questioni sulle difficoltà di misurare gli ascolti dei podcast, come scrive AudioGen:
Perché si parla ancora di download quando gran parte del consumo avviene in streaming e YouTube - una piattaforma video - gioca un ruolo cruciale come canale di distribuzione globale? Come misurare e rilevare la reale portata dei podcast? Qual è la volontà degli attori coinvolti di accordarsi su indicatori di audience chiari e univoci?
Il Financial Times ha raccontato un esperimento de El País per creare contenuti audio dedicati agli abbonati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
Un’intervista a una poetessa morta scatena la chiusura di una radio AI
È successo in Polonia, dove il programma radio Off Radio Krakow - che fa parte dell’emittente pubblica regionale Radio Cracovia - aveva licenziato i suoi giornalisti per creare «il primo esperimento in Polonia in cui i giornalisti sono personaggi virtuali creati dall’IA». La radio è poi dovuta tornare sui propri passi a causa delle proteste del pubblico.
A fare arrabbiare gli ascoltatori è stata soprattutto la messa in onda di un’intervista a quella che l’host virtuale del programma ha definito «un'intervista unica» a un'icona della cultura polacca, Wislawa Szymborska, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1996. Peccato che la poetessa sia morta nel 2012.
Anche in Colombia è stato lanciato un programma radio realizzato con l’AI, Ochentera, dedicato alla musica degli anni ‘80.
Vari giornalisti del quotidiano argentino La Nación hanno prestato la voce per addestrare un'AI che legge i loro articoli come se fossero loro stessi a parlare.
🤖 A Melrose, un esperimento di podcasting iper-locale con l'AI
Per la prima volta un progetto audio ha vinto il premio Morrione
Si tratta del podcast Oltre. Un’inchiesta sull’universo incel italiano di Beatrice Petrella. Il premio, intitolato al giornalista Rai morto nel 2011, è rivolto agli under 30 ed è dedicato al giornalismo d’inchiesta.
Gianluca Gazzoli di Passa dal BSMT ha vinto il premio “Performance categoria Podcast” ai Top Creators Awards 2024 di Forbes Italia.
La lista dei vincitori dei Signal Awards è davvero colma di podcast stupendi. A Field Guide To Gay Animals, per esempio, ha vinto il premio come miglior documentario.
It's a Continent ha vinto tre premi (tra cui quello di Podcast of the Year) agli Independent Podcast Awards.
La ruina è il podcast dell’anno ai premi Ondas 2024.
🏆 Ora Podtrac presenta le classifiche dei podcast più ascoltati in oltre 30 Paesi.
Sweet Bobby adesso è anche una serie tv
La serie tv, disponibile su Netflix, è basata sull’omonimo podcast d’inchiesta di Tortoise Media che racconta una lunga storia di catfishing di cui è stata vittima una professionista del marketing londinese.
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Spesso si sente dire che i podcast li ascoltano soprattutto i giovani. Io però, per quanto riguarda l'Italia, non avevo mai trovato studi che analizzassero nello specifico l'ascolto dei podcast da parte della generazione Z, ossia quella delle persone tra i 13 e i 25 anni. Per quanto riguarda la generazione precedente, quella dei millennial, ci sono diverse ricerche che dicono che i podcast li ascoltano, e che li ascoltano parecchio. Ma la generazione Z?
In passato per farmi un’idea avevo chiesto alle mie sorelle minori, a mio fratello e ai loro rispettivi amici, che hanno fra i 16 e i 20 anni e quindi rientrano a pieno titolo nella Gen Z. Ne avevo ricavato che loro sostanzialmente ascoltano un solo podcast, Muschio selvaggio, che più di preciso è un videopodcast, creato da Fedez e Luis Sal nel 2020 e oggi condotto da Luis Sal con il fratello Martin. La bolla delle mie sorelle e dei loro amici però mi sembrava un po' piccola per trarre conclusioni.
Così quando con alcuni colleghi e alcune colleghe di Chora Media, la più grande podcast company italiana (con cui collaboro), mi sono trovata a domandarmi se effettivamente la Gen z ascolti i podcast, e che podcast ascolti, a un certo punto ho proposto di fare uno studio, e di farlo insieme a una realtà con cui avevo lavorato in passato che si occupa proprio di generazione Z. Sto parlando di ScuolaZoo, che ha creato una delle community di adolescenti e ventenni più grandi d'Italia.
La proposta è passata e, a luglio 2024, lo studio è stato fatto, con una partecipazione altissima: alle nostre domande hanno risposto circa 2.200 giovani dai 13 ai 25 anni provenienti da tutte le province italiane.
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Che cosa dice lo studio di Chora e ScuolaZoo (👉 clicca qui per scaricarlo)?
In sintesi, conferma che sì, una grande parte della Gen Z ascolta podcast.
Più nello specifico, oltre la metà del campione ha detto di ascoltare podcast regolarmente.
Quasi una persona su due ascolta (46%) podcast con frequenza mensile, gli altri lo fanno su base settimanale (41%) o giornaliera (13%).
Quasi il 90% dei partecipanti per ascoltare podcast usa Spotify. La seconda app più utilizzata è YouTube, usata dal 40% delle persone.
L’ascolto avviene principalmente a casa (86%), e in secondo luogo sui mezzi di trasporto (46%)
Quelli che ho appena raccontato sono dati che fanno riferimento a podcast solo audio. Nello stilare le domande della prima parte dello studio abbiamo proprio specificato che ci stavamo riferendo soltanto a contentui esclusivamente audio.
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Poi però abbiamo analizzato anche il consumo di videopodcast da parte della Gen Z. Ed è emerso che la percentuale di chi consuma videopodcast è pari al 57% del campione. Ossia, 5 punti percentuali in più rispetto alla fetta degli ascoltatori di podcast (una differenza molto inferiore a quella che mi aspettavo).
Per 8 partecipanti su 10 il consumo di videopodcast è audio+video.
Poco meno della metà delle persone consuma videopodcast su base mensile (48%), e poco meno della metà su base settimanale (44%). Meno di 1 su 10 lo fa quotidianamente.
In questo caso la piattaforma più usata è, di gran lunga, YouTube (85%), seguita da Spotify (34%) e, infine, Twitch (10%).
E la casa è il luogo prediletto per il consumo (96% vs il 19% che consuma videopodcast sui mezzi di trasporto).
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Ma com'è che ragazze e ragazzi scoprono nuovi contenuti da ascoltare o guardare anche? Come ci si può immaginare, innanzitutto attraverso i social (71%), e in misura minore tramite i suggerimenti delle piattaforme (52%). Una piccola fetta (13%) dice di seguire i consigli di amici e famigliari.
Invece a determinare la scelta del podcast o del videopodcast per circa 8 persone su 10 è il tema, seguito dagli ospiti e poi dal conduttore. E per quanto riguarda la tipologia di contenuti che la Gen Z preferisce consumare, rimanendo in ambito di tema vincono le storie personali, seguite da cultura e crime. Mentre parlando di format il talk è il preferito dalla metà delle persone.
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Chi sono?
Mi chiamo Andrea de Cesco e sono una giornalista con una forte dipendenza da podcast e newsletter.
Nel 2019 ho unito queste due passioni e ho dato vita a Questioni d’orecchio: un magazine in formato newsletter sul mondo dei podcast e degli audiolibri.
Dopo vari anni al Corriere della Sera, ora sono una freelance. Tra le altre cose, collaboro con Chora e Will Media come direttrice editoriale della formazione e strategy consultant, e parlo di podcast su LifeGate Radio.
Ho una laurea in Lettere Antiche e un master in giornalismo, che ho preso dopo un anno trascorso tra Londra e Barcellona. Oggi vivo a Maiorca, ma torno spesso nella mia adorata pianura padana.