"Questioni d’orecchio", una newsletter di Andrea F. de Cesco

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"Questioni d'orecchio" - Il free speech di Elon Musk e la moderazione dei contenuti su Spotify

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"Questioni d'orecchio" - Il free speech di Elon Musk e la moderazione dei contenuti su Spotify

L'imprenditore, che si appresta a comprare Twitter, vuole che sulla piattaforma ci sia più libertà d'espressione. Intanto Spotify, dopo il caso Joe Rogan, limita la visibilità dei contenuti borderline

Andrea F. de Cesco
Apr 27, 2022
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"Questioni d'orecchio" - Il free speech di Elon Musk e la moderazione dei contenuti su Spotify

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Illustrazione di Susanna Gentili

Domenica era il mio compleanno. Ero venuta in Italia per il funerale, e avevo deciso di tornare a Maiorca per trascorrere la domenica in barca a vela in onore di mio nonno. Il mare però era troppo mosso. Delusa, ho optato per il surf.
Ero tristissima, svuotata. Dopo 10 minuti mi è arrivata una tavola in faccia (quella del mio ragazzo). Imprecazioni, lacrime. «È rotto, sicuro che è rotto» ho urlato toccandomi lo zigomo. Una volta arrivata in ospedale la disperazione è passata. Quella botta in faccia ha iniziato a sembrarmi una benedizione. Quantomeno mi aveva dato una scossa.
Dopo tre ore, il responso: lo zigomo non era rotto. Ho lasciato l’ospedale leggera, quasi felice, con la parte destra del viso gonfia e violacea. Sono andata a passeggiare nella cala che mio nonno ha dipinto per me (il quadro è appeso accanto alla mia parte di letto). Il buonumore è rimasto fino a sera, alimentato da una stratosferica torta al cioccolato. Credevo di avere ritrovato una specie di baricentro.
La mattina dopo ero paralizzata dal dolore. Durante tutta la giornata non sono riuscita a fare altro che cercare di recuperare una vecchia registrazione di mio nonno. Sono scoppiata a piangere al supermercato, davanti allo scaffale della pasta.
Temo sarà complicato ancora per un po’.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno scritto. Non sapete il bene che mi avete fatto.
Io ho mantenuto la promessa (a parte per il ritardo). Eccovi la newsletter, al di là delle mie farneticazioni.


L’area grigia della moderazione

Free speech is the bedrock of a functioning democracy, and Twitter is the digital town square where matters vital to the future of humanity are debated.

(La libertà d’espressione è il fondamento di una democrazia funzionante, e Twitter è la piazza digitale dove si dibattono questioni centrali per il futuro dell’umanità.)

Elon Musk ha annunciato con queste parole la chiusura dell’accordo per l’acquisto di Twitter. Fra qualche mese la società diventerà di proprietà dell’imprenditore sudafricano, che l’ha comprata per 44 miliardi di dollari.

La notizia ha generato preoccupazione. Musk, l’uomo più ricco del mondo, si è dimostrato una persona imprevedibile. Spesso si è comportato in modo eccentrico, talvolta irresponsabile. In passato alcuni suoi tweet hanno fatto crollare il valore delle azioni di Tesla (società che ha co-fondato e che guida lui stesso).

In parte il nervosismo ha a che fare proprio con l’insistenza di Musk sul free speech (il cinquantenne si è definito un «assolutista della libertà d’espressione»). A inizio aprile l’imprenditore aveva comprato il 9,2% delle azioni di Twitter. Qualche giorno dopo aveva detto: «Da quando ho fatto quell’investimento ho realizzato che la società nella sua forma attuale non prospererà né servirà l’imperativo sociale della libertà d’espressione. È necessario che diventi privata».

Musk è convinto che i social network non dovrebbero rimuovere i commenti che, pur risultando offensivi, rispettano la legge. In una recente conversazione con Chris Anderson, il capo di TED (organizzazione non profit che ha l’obiettivo di diffondere idee di valore), Musk ha detto che, qualora gli utenti segnalassero un tweet in quanto riprovevole e i moderatori umani di Twitter avessero dei dubbi su come giudicarne il contenuto, «nel caso si trattasse di un’area grigia quel tweet dovrebbe continuare a esistere».

Perché vi parlo di Twitter? Perché l’imminente acquisto dell’azienda da parte di Musk e la visione che Musk ha del free speech sollevano una serie di quesiti relativi alla moderazione dei contenuti che anche Spotify si trova ad affrontare in relazione ai podcast.

Qualche mese fa Spotify è stata oggetto di critiche e boicottaggi a causa della sua gestione di The Joe Rogan Experience (ne avevo scritto qui). Joe Rogan, il conduttore del podcast, negli anni ha dato spazio a diversi personaggi controversi (tra gli ospiti c’è stato anche Elon Musk - in un’occasione l’imprenditore ha fumato una canna insieme a Rogan). Alcune delle persone intervistate hanno fatto dichiarazioni offensive nei confronti di minoranze varie. Altre hanno riferito notizie false senza venire contraddette.

È stato il caso di Robert Malone. Lo scorso gennaio l’intervista di Rogan al medico, che ha elencato una serie di falsità sui vaccini anti Covid, ha scatenato forte indignazione, da più parti. Soprattutto nei confronti di Spotify. La società, che ha pagato Rogan 200 milioni di dollari per distribuire il suo podcast in esclusiva, ha deciso di non agire. E si è giustificata dicendo che la sua scelta deriva dal fatto che è una piattaforma e non l’editore di Rogan - giustificazione che, secondo me, non sta in piedi. Successivamente Spotify ha però preso dei provvedimenti. Innanzitutto ha aggiunto una specifica etichetta a tutti i contenuti relativi al Covid, affiancandoli a link che rimandano a informazioni affidabili.

La novità più interessante però è di pochi giorni fa e riguarda quell’«area grigia» a cui accenava Musk. L’azienda ha iniziato a ridurre e limitare la discoverability di contenuti borderline (ossia podcast contenenti informazioni fuorvianti, ma non così gravi da giustificarne la rimozione). Ma cosa significa «ridurre e limitare la discoverability»? Significa che i contenuti in questione appaiono come ultimi risultati nelle ricerche e che non possono venire promossi o inseriti tra le raccomandazioni.

Tra gli episodi di podcast penalizzati ce ne sono anche alcuni di Joe Rogan. Per esempio, provate a cercare “joe rogan vaccines” nella barra di ricerca di Spotify. Vedrete che fra i primi risultati non ci saranno episodi di The Joe Rogan Experience dove si parla di vaccini, ma episodi di ALTRI podcast che parlano degli episodi di The Joe Rogan Experience dedicati ai vaccini.

La moderazione dei contenuti è un tema molto delicato, su cui le piattaforme sbattono la testa da tempo. E il modo in cui la moderazione dei contenuti è gestita da ogni singola piattaforma è frutto non solo di investimenti economici (che si concretizzano, per esempio, nell’adozione di determinate tecnologie o nella creazione di squadre di moderatori umani). È anche la conseguenza di scelte editoriali.

Per i contenuti audio, in particolare, la moderazione dei contenuti appare ancora piuttosto complicata. Valerie Wirtschafter e Chris Meserole della Brookings Institution hanno messo insieme alcuni suggerimenti importanti.

  1. Le app di podcasting devono sviluppare politiche più sfumate e trasparenti per le tipologie di contenuto che gli utenti possono scaricare e riprodurre.

  2. Le app di podcasting dovrebbero inoltre avere linee guida chiare per le tipologie di podcast che l'app stessa raccomanderà.

  3. Le app per podcast dovrebbero costruire misure più robuste per permettere agli utenti di fare segnalazioni.

  4. Oltre a migliorare la segnalazione degli utenti, alcune app di podcasting potrebbero sperimentare sistemi di votazione e di commento.

  5. I regolatori dovrebbero richiedere alle app di podcasting di esplicitare quali sono le loro politiche di moderazione dei contenuti. Le politiche dovrebbero essere facilmente comprensibili e includere esempi o chiarimenti su come saranno interpretati i termini ambigui.

  6. Le app per podcast dovrebbero anche essere obbligate a rivelare pubblicamente e in modo trasparente dettagli di alto livello sulle loro pratiche di moderazione dei contenuti, così come il loro processo di revisione. Inoltre, le app dovrebbero essere tenute a pubblicare linee guida chiare su come contestare una decisione di moderazione

  7. Le app di podcasting dovrebbero essere tenute a dichiarare il contenuto che i loro algoritmi di raccomandazione stanno amplificando maggiormente, così come i dettagli di base su come funzionano questi algoritmi.

  8. La pubblicità rappresenta la principale fonte di entrate per l'ecosistema del podcasting, ma ci sono pochissime linee guida relative alle informazioni finanziarie nel podcasting. I regolatori potrebbero delineare chiari processi di rendicontazione finanziaria per le serie di podcast (almeno per quelle che generano un certo reddito o hanno un pubblico vasto).

L’obiettivo di Wirtschafter e Meserole è quello di «incoraggiare una moderazione dei contenuti responsabile, senza però restringere indebitamente la libertà di espressione».

Il tema del free speech negli Usa è molto più sentito che in Italia. Il diritto alla libertà d’espressione è sancito dal primo emendamento della Costituzione statunitense (in Italia è racchiuso nell’articolo 21 della Costituzione). Ed è anche per questo che se ne sta parlando parecchio in relazione a Twitter.

L’acquisto dell’azienda da parte di Elon Musk ha creato una forte polarizzazione. I conservatori e tutti coloro che si lamentano del fatto che «non si può più dire niente» vedono positivamente l’approccio di Musk alla libertà di espressione. Molti altri invece temono che i progressi fatti negli anni sul fronte della moderazione dei contenuti vengano cancellati e che fake news, discorsi d’odio e commenti offensivi riprendano il sopravvento.

La questione riguarda i podcast non soltanto sotto l’aspetto della moderazione dei contenuti. Ma anche perché Twitter è attivo nel mercato dell’audio. Ci sono gli Spaces e qualche mese fa è emerso che l’azienda stava testando un’integrazione dei podcast nella piattaforma.

Joe Rogan ha chiarito che, se dovesse venire censurato al punto da ritrovarsi a «camminare sulle uova», lascerebbe Spotify. Chissà che la nuova casa del suo podcast non possa diventare proprio Twitter, dove ha 8,6 milioni di follower. Il podcaster ha definito Musk «super intelligente» e si era detto eccitato dall’idea che potesse comprare Twitter.

Nel frattempo è emerso che, al contrario di quanto si potesse pensare, le recenti controversie hanno fatto guadagnare a Rogan parecchi ascoltatori su Spotify. Due milioni.
In barba alla moderazione dei contenuti.


Le notizie della settimana

Altre notizie su Spotify

  • Ora negli Usa, in Canada, in Nuova Zelanda, in Australia e nel Regno Unito tutti i creator possono realizzare video podcast su Spotify. Gli utenti hanno la possibilità di iscriversi a pagamento, come per i podcast classici.

  • Greenroom, l’app di audio live di Spotify, è stata integrata nella piattaforma e ribattezzata Spotify Live. Di conseguenza, il progetto di creare un fondo per i creator su Greenroom è venuto meno.

  • L’accordo tra Spotify e Higher Ground, la casa di produzione degli Obama, scade tra pochi mesi e non verrà rinnovato. Le due parti non hanno trovato un’intesa. Tra i punti di contrasto c’è il fatto che Spotify voleva che l’ex presidente Usa e l’ex first lady fossero presenti in più podcast, mentre gli Obama volevano dare spazio a più voci.

  • Courtney Holt, l’uomo dietro alla strategia podcast di Spotify, dopo quasi cinque anni sta per lasciare l’azienda.

  • I dipendenti sindacalizzati di Parcast, podcast network di proprietà di Spotify, hanno votato all’unanimità per ratificare il loro primo contratto frutto di un accordo sindacale.

  • Per anni PJ Vogt è stato noto come il co-conduttore di Reply All, celebre podcast di Gimlet Media (altra casa di produzione di proprietà di Spotify). Fino allo scandalo seguito alla pubblicazione The Test Kitchen, miniserie che racconta la cultura lavorativa discriminante della rivista Bon Appetit: alcuni ex dipendenti di Gimlet hanno accusato Vogt e altri degli stessi comportamenti discriminatori. Crypto Island segna il ritorno di PJ Vogt nei podcast dopo oltre un anno.

Le altre notizie

  • Facebook sta già perdendo interesse per i podcast.

  • È nato Adweek Podcast Network, il primo network di podcast per i professionisti e gli appassionati della pubblicità e del marketing.

  • Nel 2021, negli Usa, la pubblicità nell’audio digitale è cresciuta del 57,9% rispetto al 2020, raggiungendo i 4,9 miliardi di dollari.

  • Il player per i podcast dell’app di Substack (al momento solo per iOS) ha subito miglioramenti notevoli.


Il potere dei brand

di Mirko Lagonegro, ceo e cofondatore di MDE

Che sia «podcast su podcast», cioè promuoverlo presso chi già li ascolta pianificando una campagna media su Spotify o Spreaker o, come ha ben spiegato Davide in un Punto di MDE di qualche settimana fa, «podcast su visual», cioè rendendolo disponibile sulle properties di grandi editori per raggiungere anche chi non li ascolta regolarmente, l’importanza di studiare la migliore strategia di «amplificazione» con cui promuovere un contenuto audio  è ormai un concetto acquisito dai produttori e, ancor più importante, dai brand che decidono di usare questo formato di comunicazione. Ma sviluppando l’audio strategy dei nostri clienti spesso ci ritroviamo a rimarcare un altro modo di cui dispongono per promuovere i loro progetti podcast: usare i loro «superpoteri». Ecco i più importanti.

La credibilità ed il valore del loro stesso brand. È senza alcun dubbio la più grande risorsa detenuta dalle aziende. Di fatto, divenendone clienti, tante persone si sono predisposte ad avviare una relazione più stretta, che va alimentata nel tempo.

Un’audience preesistente. Tante marche spesso sembra che non si rendano conto di avere già un vasto pubblico potenziale, dato da clienti, partner, dipendenti e fornitori, che possono inoltre diventare efficaci testimonial grazie ai quali ingaggiarne altre. 

La capacità di produrre contenuti. Pressoché tutti i clienti hanno blog, producono video e sono molto attivi sui vari social media: un progetto podcast si inserisce quindi perfettamente in un ecosistema di content marketing già attivo, agevolando la creazione di una strategia di cross-promotion estremamente efficace. 

Attenzione però: per sfruttare tutti questi superpoteri è prima necessario disporre ed attivarne un altro, quello più importante: l’impegno e la disponibilità di diverse funzioni aziendali. Sennò, invece di aver avviato un dialogo continuativo con i propri consumatori con cui creare una brand audience esclusiva, si è semplicemente eseguita l’ennesima attività pubblicitaria.


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La prossima newsletter, con i consigli di ascolto e di lettura, uscirà giovedì 28 aprile 💌

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