Il gruppo Gedi vuole costruire la migliore offerta di podcast di intrattenimento sul mercato
Antonio Visca, Direttore Contenuti Audio del gruppo, racconta progetti, obiettivi e strategie di Gedi sul fronte dei podcast. Dal lancio di One Podcast all'accordo con iHeartMedia
La scommessa di Gedi sui podcast
In Italia tra le realtà che stanno scommettendo di più sui podcast c’è senza dubbio Gedi. Ne è prova il recente debutto di One Podcast, che è al tempo stesso una casa di produzione e un’app per ascoltare tutti i contenuti audio del gruppo in un unico posto (le compilation musicali, la versione on demand degli svariati programmi radiofonici e i podcast originali - al momento del lancio di nuovi ce n’erano 15 di intrattenimento e tre di notizie/approfondimento). Ne avevo scritto a novembre, quando erano appena stati annunciati sia One Podcast sia un futuro accordo con iHeartMedia, il più grande produttore di podcast al mondo. La notizia mi aveva suscitato qualche domanda:
Come sarà strutturata la podcast factory? Su quale business model punta Gedi? Con che cifra si partirà? Chi guiderà questi progetti? Quanto corposa sarà l’offerta di podcast? Come si svilupperà l’accordo con iHeart?
Per rispondere almeno ad alcuni di questi quesiti, ho parlato con Antonio Visca, che lavora a One Podcast da metà settembre dopo una lunga esperienza come direttore di Sky Atlantic. «Da una parte coordino tutti i contenuti podcast del gruppo Gedi. Dall’altra sono responsabile della linea editoriale e della realizzazione dei podcast di intrattenimento, quelli che partono dalle radio (il direttore creativo dei contenuti di intrattenimento è Linus, ndr). Sul versante giornalistico la competenza è dei singoli giornali», mi ha spiegato. «Il nostro obiettivo è costruire la migliore offerta di podcast di intrattenimento sul mercato, unendo i talent e gli autori delle nostre radio, le idee e i personaggi più interessanti anche al di fuori delle radio e gli adattamenti italiani del meglio di iHeartMedia».
Nato nel 1975 ad Alessandria, Visca ha iniziato a occuparsi di televisione - «per caso» - subito dopo essersi laureato in Economia Aziendale alla Bocconi. Ma già dal titolo della sua tesi, “Dinamiche competitive nel settore radiofonico italiano”, si capisce che la sua principale passione è sempre stata un’altra: la radio, appunto. «Ascoltavo e ascolto qualsiasi tipo di programma radiofonico e sin da ragazzino ho scritto di radio su riviste specializzate», mi ha raccontato Visca, che ha lavorato in diverse emittenti come consulente-giornalista e come conduttore (dall’ottobre 2016 fa parte della squadra di Radio Deejay). «I podcast sono il trait-union tra quello che facevo a Sky e la radio: sono pur sempre serie, ma in formato audio. Mi piacciono soprattutto quelli americani di interviste, i true crime e le serie investigative di approfondimento giornalistico. Ma, come in televisione mi toccava guardare centinaia di puntate di serie tv, così ora devo ascoltare di tutto. È una piacevole condanna».
Le varie aree del gruppo Gedi hanno cominciato a occuparsi di podcast in momenti diversi, ha spiegato Visca. A iniziare per primi sono stati i giornali (già nel 2017 Repubblica aveva pubblicato Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli). «La decisione di lanciare One Podcast è frutto del fatto che quello dei podcast è un settore che sta crescendo molto, anche se in Italia più lentamente che altrove», ha commentato il Direttore Contenuti Podcast. «I podcast negli Usa rappresentano una macchina avviata, con un fatturato, una rilevanza e un peso notevoli. Qui siamo indietro, ma i primi segnali che abbiamo ricevuto sono straordinariamente positivi sia a livello di fruizioni e ascoltatori sia da parte del mercato pubblicitario».
È però ancora presto per stabilire con certezza la mole di podcast che verrà pubblicata. «Vedremo come andranno gli ascolti e come evolverà la variabile pubblicitaria», ha osservato Visca. L’incognita della pubblicità riguarda nello specifico i podcast di intrattenimento. Infatti mentre i ricavi dei podcast legati ai giornali derivano dagli abbonamenti (per ascoltarli bisogna sottoscrivere il piano premium di One Podcast o abbonarsi alla singola testata, anche se in genere la prima puntata è ascoltabile gratuitamente - è il cosiddetto modello freemium), le entrate dei podcast di intrattenimento si basano al 100% sulla pubblicità - tra annunci pubblicitari, sponsor e branded podcast. «Per ora abbiamo prodotto solo podcast editoriali, speriamo di realizzarne presto anche di sponsorizzati o branded. Abbiamo in cantiere diversi podcast, ciascuno avrà tra otto e 50 puntate a seconda della cadenza settimanale o quotidiana. Le tempistiche di produzione sono diverse. Nelle ultime settimane per esempio abbiamo dovuto sospendere i podcast di interviste a causa del Covid. Avere fuori 15 titoli contemporaneamente sarebbe una buona line up. A regime lanceremo un nuovo podcast alla settimana».
Per produrre tutti questi contenuti, ovviamente, è stato previsto un budget dedicato (ho chiesto la cifra, ma non ho avuto risposta). L’investimento è servito e serve non soltanto per pagare nuove risorse, ma anche per allestire degli studi aggiuntivi e per creare l’app da zero. Partiamo da quest’ultima. Si tratta di un progetto gestito internamente, con il supporto e lo sviluppo di Reply, storico partner di Gedi. «Abbiamo studiato moltissimi modelli, a partire dalle piattaforme podcast specializzate internazionali, passando per gli OTT. Abbiamo tratto ispirazione anche da settori lontani e da ricerche di mercato nazionali e internazionali che ci hanno permesso di individuare i futuri sviluppi dell’app per rimanere al passo con l’evoluzione che il settore avrà nel breve», mi ha detto Gaetano de Blasio di Palizzi, Digital Marketing Manager Radio & Podcast del gruppo Gedi. Ma perché la scelta di sviluppare un’app? «Perché siamo un gruppo media ed è giusto che le nostre produzioni audio abbiano un ecosistema proprietario che le aggreghi e le esalti. Il modello di business freemium, poi, ben si sposa con la scelta fatta. Vogliamo che questa app diventi punto di riferimento per una produzione di qualità senza compromessi».

Passando agli studi, per i podcast vengono usati a rotazione i 30 delle tre radio del gruppo (Radio DeeJay, Radio Capital e m2o), tra Roma e Milano. Ma ne sono anche stati creati apposta due di post produzione e uno di ripresa, in via Massena a Milano. «Capiremo meglio le esigenze quando tornerà tutto alla normalità (dal punto di vista dell’emergenza sanitaria, ndr)», ha aggiunto Visca.
E poi c’è il tema del personale. «One Podcast è una startup che nasce all’interno di un’azienda solida dal punto di vista audio. Dentro Elemedia, la società che edita le radio, abbiamo già uno staff audio con esperienza pluridecennale che include ottimi sound designer, tecnici del suono, registi e montatori. Alcuni sono dedicati al 100% ai podcast, mentre altri si occupano sia della radio sia dei podcast», mi ha detto ancora Visca. «Abbiamo poi redattori e autori con le provenienze più diverse. Alcuni già ruotavano nei programmi radio e sono stati dirottati sui podcast, mentre altri sono stati selezionati ad hoc». I contratti sono di vario tipo, tra dipendenti e collaboratori. «Le persone che si dedicano interamente o prevalentemente alla realizzazione e alla produzione dei podcast sono cinque o sei. Poi ci sono quelle che si occupano in parte della radio e in parte dei podcast e quelle a progetto. Senza contare chi lavora nel digital, nel marketing, nella pubblicità, nella comunicazione e nella grafica. E abbiamo anche un nuovo consulente incaricato di garantire e assicurarsi che tutto funzioni bene nella distribuzione dei singoli titoli su tutte le app».
Un’altra questione ancora è quella dell’accordo con iHeartMedia: «Alcuni dei podcast di iHeart verranno ospitati, in lingua originale, anche su One Podcast - che è un’app chiusa, ci sono dentro solo i nostri contenuti. Inoltre produrremo in esclusiva le versioni italiane di alcune serie».
Come ultima cosa, ho chiesto a Visca se pensa, come altri, che al momento l’offerta di podcast in Italia sia troppo ampia rispetto alla domanda. La sua risposta ha lasciato trapelare un’indole ottimista: «Certo, ci sono troppi podcast. Così come vengono scritti troppi libri e composte troppe canzoni. L’offerta è vasta e variegata. Non mi preoccupa. Anzi, trovo bello che ci sia fermento. È chiaro, servono investimenti di un certo tipo».
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Le notizie della settimana
Pare che sia Spotify sia Amazon stiano pensando di fare un’offerta ad Audioboom, piattaforma di podcasting con sede a Londra.
Ora anche Reddit Talk (il clone di Clubhouse realizzato da Reddit) permette, tra le altre cose, di registrare le chat e di comunicare in tempo reale attraverso messaggi testuali ed emoji.
L’app Fountain ha lanciato Podcaster Wallet, un servizio per ricevere Bitcoin come pagamento per il proprio podcast.
Secondo un sondaggio, oltre la metà dei marketer quest’anno prevede di aumentare la spesa pubblicitaria nei podcast. E secondo un altro sondaggio sei agenzie pubblicitarie su dieci sono interessate ai branded podcast.
L'uso degli assistenti vocali per smartphone è in stallo (almeno negli Usa), ma i consumatori vogliono più funzioni vocali nelle applicazioni mobili.
Da podcast a stazione radio iper locale: in Uk è nata Alfred, emittente rivolta a una community di 12 mila persone.
In occasione della Giornata mondiale della radio (13 febbraio), Cities and Memory in collaborazione con lo Shortwave Radio Archive ha lanciato il progetto “Shortwave Transmissions”, che raccoglie alcune iconiche trasmissioni in onde corte - suoni e messaggi come quelli relativi allo sbarco delle truppe britanniche nelle isole Falkland nel maggio 1982.
Spotify & Joe Rogan: gli sviluppi e le letture utili
Donald Trump, l’ex presidente Usa, ha detto che Joe Rogan dovrebbe «smetterla di scusarsi» e «di permettere che lo facciano apparire debole».
Il chief content officer di Spotify, Dawn Ostroff, ha definito tutta la faccenda «un'esperienza di apprendimento».
L’host del popolare Daily Show, Trevor Noah, ha invece accusato Joe Rogan di razzismo. Rogan nel 2015 aveva difeso Noah dopo che erano emersi alcuni commenti offensivi del conduttore a proposito degli ebrei e delle donne.
La professoressa e psicologa sociale Brené Brown ha ripreso le registrazioni dei suoi due podcast originali Spotify, Unlocking Us e Dare to Lead. «Condividere il tavolo con Rogan mi mette in un terribile conflitto di valori, ma ho davvero poche opzioni», ha spiegato Brown, che ha firmato con Spotify un contratto di esclusiva pluriennale.
Per approfondire 👇
Come fare fact-checking dei contenuti del podcast di Joe Rogan.
Ed ecco qui il fact-checking dell’intervista di Rogan a Robert Malone realizzato dal New York Times (che ha dedicato al caso una puntata del Daily).
Quanto e in che modo Spotify paga gli artisti.
La saga Spotify-Rogan mette in luce la distinzione tra editori e piattaforme.
Non è solo Joe Rogan. L'intero spazio digitale è marcio.
Il podcast di Joe Rogan potrebbe essere stupido. Ma è davvero pericoloso?
Spotify e Joe Rogan sono invincibili.
In che modo Joe Rogan è diventato il Golia del podcasting.
Digital audio advertising: di tutta l’erba un fascio?
Di Davide Panza, cmo e cofondatore di Digital MDE
Il mercato del digital audio sta crescendo sotto ogni punto di vista. Dall’anno scorso sono aumentati tutti gli indici di fruizione e creazione di podcast, audiolibri e musica. E sono cresciuti anche i valori legati ai flussi di investimenti. Quest’ultimo punto è indispensabile per alimentare gli attori della filiera, almeno quelli che hanno nel loro modello di business un piano di sostenibilità di medio periodo (sul lungo periodo non mi esprimo vista la giovane età del settore, così come tralascio quelli del gioco «compro un microfono e faccio un podcast»).
Il digital audio advertising rappresenta lo strumento potenzialmente più importante di questa alimentazione, potendo contare su budget identificabili nella loro origine (la pubblicità appunto), meccanismi di compravendita molto simili a quelli di altri comparti del digital e tecnologie specifiche collaudate e presenti sul mercato. Il bimbo è ancora piccolo in valori assoluti, come riportano i dati dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, ma - stando alle proiezioni di IAB Europe - scalcia vigorosamente.
In pratica abbiamo in Italia un mercato che, alla fine del 2021, valeva circa 19 milioni di euro. E che è visto come quello che avrà la maggior crescita percentuale (34,2% contro il 26,2% del video).
Vado al punto. Nel digital audio advertising le componenti sono due: la musica e i podcast. La prima assorbe la gran parte di quegli investimenti grazie a player come Spotify e RadioMediaset che dettano le regole di compravendita, fissando i parametri sul mercato - parametri quale il CPM (Costo per Mille impression, per i non addetti ai lavori). Al podcast, neoarrivato nel digital audio, non rimane che accodarsi e iniziare per adesso a prendere le briciole di questi piani media. Tutto ciò alle condizioni che i player del digital audio hanno già stabilito, quindi al “loro” CPM.
Ma uno spot nella musica ha la stessa valenza di un mid-roll in un podcast? La ricettività di un promo è la stessa per un utente che schiaccia “play” per un po' di svago e compagnia di sottofondo rispetto a quella di uno che schiaccia “play” perché sceglie di ascoltare quello specifico contenuto? Per me, *brand che vendo scarpe da jogging*, ha più valore un utente più o meno targettizzato sui miei parametri che ascolta musica o uno che sceglie di mettersi le cuffie e ascoltare un contenuto che parla di jogging?
Mi fermo qui con un appello rivolto soprattutto a chi acquista pubblicità: così come esistono banner diversi, annunci in vari formati, video erogati in modalità eterogenee, non fate nell’audio “di tutta l’erba un fascio”. Il rischio è di sminuire sul nascere il valore complessivo che questo formato può portare a tutta la filiera, a partire dagli inserzionisti.