"Questioni d’orecchio", una newsletter di Andrea F. de Cesco

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"Questioni d'orecchio" - J-Ax e la parodia del true crime: «L’umorismo è una grande arma per disinnescare il male e la paura»
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"Questioni d'orecchio" - J-Ax e la parodia del true crime: «L’umorismo è una grande arma per disinnescare il male e la paura»

L'intervista al cantautore (co-host di "Non aprite quella podcast"), gli aggiornamenti sul caso Joe Rogan, l'Osservatorio dei podcast del Ministero della cultura francese e due tecnologie da studiare

Andrea F. de Cesco
Feb 9
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Illustrazione di Susanna Gentili

Ciao! Mentre sono alla ricerca di un’umilissima auto usata (la mia mi ha lasciato a piedi domenica sera a 200 km da casa), vi presento Luigi Lupo, nel caso in cui non lo conoscevate già. È un giornalista che si occupa di suoni, podcast, media e società. Ed è anche un podcaster: tra le varie cose, ha curato con Ilaria Potenza Generazione Covid, per Domani. Inoltre ha scritto il primo saggio italiano sul fenomeno delle narrazioni audio, Podcasting. La Radio di Contenuto ritorna sul web (Meltemi, 2019). Oggi Luigi inizia a collaborare con Questioni d’orecchio 🥳


J-Ax: «L’umorismo disinnesca il male»

Di Luigi Lupo

C’è un’illustrazione, firmata da Asher Perlman per il New Yorker, diventata virale negli ultimi giorni: raffigura un dj in una discoteca a cui viene chiesto di riprodurre un podcast true-crime come se fosse un tormentone da ballare. Racconta benissimo quella che è una tendenza che coinvolge milioni di ascoltatori sin dall’uscita del primo episodio di Serial (che peraltro è tornato con la serie The Trojan Horse Affair, prodotta con il New York Times, sul caso di un estremista islamico infiltrato in una scuola di Birmingham), ovvero il fascino per le storie di crimine raccontate in audio. In Italia, le voci di Pablo Trincia, di Matteo Caccia o di Francesco Migliaccio sono ormai in loop nelle orecchie di numerosi amanti dei podcast, assieme ai suoni tensivi e alla ricostruzione in stile thriller di casi irrisolti della cronaca nera. Il true-crime sta al podcast come il reggaeton alle playlist radiofoniche estive. 

J-Ax, da solista o in compagnia dei mitici Articolo 31, di successi ne ha firmati nel corso della sua carriera. Poi, durante il lockdown del 2020, ha deciso di mettersi al microfono non per cantare, ma per raccontare e ridere dei misteri più efferati della storia italiana. Quella che compie il rapper milanese con Non aprite quella podcast (🎧Spotify) è un’operazione in chiave parodica: la serie, prodotta da Willy l’Orbo Studio, progetto dello stesso Alessandro Aleotti, e Spotify Studios, racconta casi come quello dei Bambini di Satana o del Mostro di Bolzano non come siamo abituati con le produzioni di maggior successo. Non ci sono testimonianze scottanti, voci di processi e tappeti sonori ricchi di pathos. Le puntate hanno un approccio da talk-radio con il giornalista Matteo Leonardon che narra le vicende e J-Ax e il produttore Pedar che lo affiancano con battute e commenti sarcastici. A volte ci si scandalizza, altre si ride di gusto, a patto che si accetti il black-humor.

J-Ax, contattato telefonicamente, racconta a Questioni d’Orecchio di «essere un’amante dei true-crime»: «Ascolto molto Demoni Urbani (🎧 Spotify | Apple Podcasts | Spreaker) ma soprattutto Dpen Crimini (🎧 Spotify | Apple Podcasts | Spreaker), fatto da solo da questo ragazzo che fa dirette su Twitch e poi le porta registrate in podcast. Mi fa impazzire questa roba che saluta gli ascoltatori mentre racconta i crimini. Fa molte ricerche, è un lavoro intelligente. E fa anche ridere. Durante il primo lockdown - continua J-Ax - tra le cose che si potevano fare c’era quella di ascoltare i podcast. Mi piace in particolar modo uno stile di raccontare i crimini da parte di alcuni host americani e inglesi che evidenziano gli elementi assurdi e scherzosi delle vicende criminose. Un modo per rovesciare la narrativa che mitizza i serial-killer. Che, in realtà, sono degli sfigati. Ho provato a coinvolgere Matteo e Pedar, con cui condivido la passione per lo humor nero, per la realizzazione di qualche episodio prima che arrivassero alle orecchie di Spotify».

Da sinistra, Matteo Lenardon, J-Ax e Pedar

L’approccio è ironico anche in Non aprite quella podcast. Come quando, nel primo episodio, Matteo, Alessandro e Pedar si prendono gioco di Marco Dimitri, sacerdote a capo di una presunta setta satanica, incarcerato per 400 giorni nel 1996 a Bologna,  prima di vedere riconosciuta la sua innocenza. Una storia vicina, per dinamiche e località geografica, a quella dei Diavoli della bassa modenese, raccontata da Pablo Trincia e Alessia Rafanelli in Veleno (🎧 Spotify | Apple Podcasts). Ai tre del podcast prodotto da Spotify Studios non interessa indagare e ricostruire giornalisticamente - del resto non è un lavoro di inchiesta - ma coprire con un velo di ironia vicende che molti ascoltatori già conoscono. «L’aspetto più drammatico della vicenda dei bambini di Satana - prosegue J-Ax - è la distruzione della vita di una persona come Marco Dimitri. Se si difende la libertà di religione, bisogna farlo per qualsiasi tipo di credo, anche per chi si proclama satanista. Non c’era uno stralcio di prove in quella vicenda. Mi ha fatto ridere un passaggio del processo in cui un testimone accusava Dimitri di avergli attaccato la “licantropia”. Assurdo. Oppure quando la pm va con la polizia in casa di un marchese la cui moglie definisce il pubblico ministero una “stracciona”».

Anche nel secondo e terzo episodio, dedicato al Mostro di Bolzano (alias Marco Bergamo che, tra il 1985 e il 1992 uccise cinque donne), non mancano aspetti eclettici su cui i tre ironizzano. Ma questa «è una vicenda che, in realtà, è meno ridicola», aggiunge J-Ax. «Noi sfottiamo molto Marco Bergamo che è fissato con una Seat Ibiza». E poi «si ride esclusivamente con il caso di Zanfretta, rapito dagli alieni. Scegliamo storie che forse gli italiani hanno dimenticato». Il recupero di casi irrisolti è una dinamica centrale nel true-crime che spopola non solo nei podcast, ma anche in tv, con le docu-serie, e nella narrativa, come ha dimostrato il successo de La Città dei Vivi di Nicola Lagioia (Einaudi, 2020), diventato poi un podcast per Chora. Mi è sempre interessato capire perché questo tipo di racconti potessero affascinare il pubblico, compreso me che ho scoperto il mondo del podcasting partendo da Serial. J-Ax ha la sua idea: «L’uomo è attratto dal male. C’è chi non lo contempla e vuole capire come possono altri essere umani arrivare a compiere atti così violenti. Io sono innamorato della sottospecie del true-crime che mischia cronaca e humor. L’umorismo è una grande arma per disinnescare il male e la paura».

Se il podcast all’inizio mi aveva sorpreso negativamente, perchè mi sembrava ridere di tragedie, dopo aver ascoltato la chiave di lettura di J-Ax, mi sono parzialmente convinto delle potenzialità di Non aprite quella podcast. Forse, in un oceano di podcast che turbano l’ascoltatore, lo scuotono e lo spaventano, una serie che sottolinea gli aspetti surreali delle vicende può funzionare come diversivo. E gli ascoltatori sembrano apprezzare questo taglio umoristico: «Ci scrivono facendo delle battute. C’e gente che crea meme relativi alle puntate, è nata una piccola community che ha capito lo spirito della serie». 

J-Ax, al secolo Alessandro Aleotti, è nato nel 1972 a Milano. Oltre a “Non aprite quella podcast” ha partecipato al podcast “Metallaria” di Guido Brera, prodotto da Chora

A J-Ax, che è noto soprattutto per il suo impatto sul mondo della musica, ho chiesto di commentare la vicenda di Joe Rogan. Illustri colleghi del rapper, come Neil Young, Joni Mitchell e il chitarrista Nils Lofgren, hanno abbandonato Spotify (che distribuisce in esclusiva Non aprite quella podcast) dopo aver accusato l’host più popolare del podcasting di disinformazione sulla campagna di vaccinazione (qui la storia punto per punto). «Capisco il gesto di Neil Young - dice J-Ax - però a questo punto noi italiani non dovremmo fare più niente. Chi appoggia questo movimento di boicottaggio sui social dovrebbe eliminare i propri account perché Joe Rogan è anche su Facebook. La colpa non è di Spotify ma di Joe Rogan. Anche su Netflix c’è Dave Chapelle che ha fatto arrabbiare tanta gente ma non vedo persone togliersi dalla piattaforma di streaming video. Lo spiego meglio: se Rogan avesse pubblicato il suo podcast su Cd, io avrei dovuto smettere di mettere la mia musica su quel formato? Spotify è un contenitore*. Il discorso è un altro: se ho bisogno di informazioni sulla salute, ascolto un podcast di un medico, non bado a ciò che dice un comico».

Allo stesso modo, forse, a chi vuole immergersi seriamente nei casi più eclatanti della cronaca nera, non consiglierei Non aprite quella podcast. Ma per chi vuole allentare la tensione, alimentata dalle numerose serie di crimine in giro nel mondo dell’audio, il progetto di J-Ax è un’ottima soluzione.

*P.s. by Andrea: no, Spotify non è un semplice contenitore. Nel momento in cui ha scelto di pagare Joe Rogan 100 milioni di dollari per distribuire il suo podcast in esclusiva ne è diventato anche l’editore (leggete qui, qui e qui per approfondire questo concetto - secondo uno studio il 40% degli statunitensi e il 53% dei canadesi pensa che Spotify dovrebbe esercitare un controllo editoriale sui contenuti controversi che ospita)


A proposito di Spotify…

  • La lista di artisti che sta lasciando Spotify si sta allungando (ma non così tanto come si potrebbe immaginare - Spotify è ormai un pilastro dell’industria musicale). L’esodo dalla piattaforma avvantaggia altri servizi musicali (ma, anche su questo fronte, nemmeno troppo).

    A lasciare Spotify ci sono anche podcaster di peso come Roxane Gay e Scott Galloway, mentre Brené Brown ha sospeso il proprio e gli Obama stanno valutando cosa fare. Pure la Casa Bianca si è espressa al riguardo.

    Spotify come sta reagendo? Dopo avere annunciato che verrà aggiunta un’etichetta a tutti gli episodi di podcast che includano contenuti sul Covid, il ceo Daniel Ek ha difeso l’accordo con Joe Rogan davanti ai dipendenti.
    Nel frattempo è emerso un vecchio video dove Rogan ride di fronte al racconto di coercizione sessuale e la cantautrice India.Arie ha postato su Instagram una serie di clip in cui il podcaster usa la N-word. Rogan stesso si è scusato, sempre in un video su Ig, e ha rimosso 70 episodi di The Joe Rogan Experience da Spotify (ma non quello con l’intervista a Robert Malone). In una nota allo staff di Spotify Ek ha condanato quanto detto da Rogan e si è impegnato a investire 100 milioni di dollari in contenuti audio creati da «gruppi storicamente marginalizzati».
    E mentre Neil Young ha invitato i dipendenti di Spotify a dimettersi, Rumble (social media dell’estrema destra) si è offerto di ospitare The Joe Rogan Experience.

    Per approfondire 👉 Joe Rogan, Dave Chappelle, and the limits of employee activism, Reasons to Abandon Spotify That Have Nothing to Do with Joe Rogan, Spotify spat shows why Joe Rogan and his podcast matter, How $1bn push into podcasts led to Spotify’s growing pains, Like It or Not, Joe Rogan Is Spotify's Future, Spotify’s biggest problem isn’t Joe Rogan. It’s ambition, Spotify, Joe Rogan and the Wild West of online audio, Spotify is more confused about Joe Rogan than ever

  • Mercoledì scorso l’azienda ha reso pubblici i risultati finanziari del quarto trimestre 2021. Il numero degli utenti attivi mensili è cresciuto del 18% anno su anno, raggiungendo così i 406 milioni. Il numero di quelli premium è aumentato del 16%, a 180 milioni. La crescita delle entrate pubblicitarie è stata del 40%, per un totale di 445 milioni di dollari. D’altro canto, Spotify ha perso 44 milioni di dollari nel trimestre e si aspetta di perdere 75 milioni di dollari nel Q1/22.


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Le notizie della settimana

  • È nato Holden Podcast, il progetto di produzione podcast di Holden Studios (l’officina della Scuola Holden di Torino). Prossimamente ve ne parlerò meglio.

  • Spreaker ha lanciato una funzione per condividere l’episodio di un podcast nelle stories di Instagram (per ora solo per iOS) e la dashboard delle statistiche Ad Exchange.

  • Il ministero della cultura francese ha lanciato un Osservatorio dei podcast e della creazione audio. Chissà se in Italia accadrà mai…

  • Sono stati annunciati i vincitori dell’edizione 2022 degli iHeartRadio Podcast Awards. Il podcast dell’anno è You’re Wrong About.

  • Fictionz è una nuova app mirata a far scoprire serie audio fiction con protagoniste donne.

  • Edison Research ha pubblicato la lista dei 50 podcast più popolari negli Usa nel 2021.

  • La 24ORE Business School ha confermato la seconda edizione del master in Content Creation per Podcast, Radio, TV e New Media, in collaborazione con Banijay (società attiva nel mercato italiano per la produzione di contenuti audiovisivi).


Innovaudio

Di Mirko Lagonegro, ceo e cofondatore di Digital MDE

Ampliando il portafoglio di soluzioni e servizi della mia azienda, negli ultimi giorni ho approfondito la conoscenza di due tecnologie che, sebbene con finalità differenti, credo diverranno molto rilevanti per un ulteriore sviluppo del contesto audio. Sono sempre stato interessato all’innovazione tecnologica – a metà anni ’90 promuovevo l’uso dei primi sistemi di automazione per la messa in onda presso le emittenti radiofoniche – ma non sono mai stato un cultore dello strumento in sé. Ero più interessato a come utilizzarlo per poter fare cose nuove o per trovare nuovi modi di fare le cose.

È il caso di Dolby Atmos, che stiamo impiegando per una nostra produzione: consente di posizionare un suono agendo non solo sull’asse orizzontale, sulla “larghezza” dell’immagine sonora (sinistra – destra, come avviene nella comune stereofonia), ma su tre: larghezza, altezza e profondità. In pratica, posso simulare un suono di passi in modo che l’ascoltatore lo percepisca provenire alle proprie spalle, magari iniziando dall’alto e per poi abbassarlo d’altezza, come se qualcuno stesse scendendo le scale (qui un video con cui rendersi conto delle sue caratteristiche). La cosa pazzesca è che Dolby Atmos funziona con le normali cuffiette che tutti noi usiamo, rendendo disponibile un’esperienza sonora paragonabile a quella offerta in un cinema dotato di un impianto composto da decine di altoparlanti senza dover acquistare nulla.

Non è alla portata di tutti, si tratta di una tecnologia che richiede grandi investimenti, certificazioni specifiche e parecchio training per poter essere usata al massimo delle potenzialità. Ma applicata al podcast potrà offrire ai creativi la possibilità di immaginare - e realizzare - contenuti capaci di creare un’esperienza davvero immersiva e di grandissimo impatto, a beneficio degli ascoltatori e dei Brand che vorranno associarsi a storie pensate e prodotte con questo strumento.  

Lavorando su Dolby Atmos al QG Studio insieme al nostro produttore Massimo Zoara

Altro fronte in continuo sviluppo è quello dei software “text to speech”, soluzioni che trasformano un testo scritto in un file audio, qualsiasi sia la lingua di cui si dispone in origine. Non è una novità delle ultime ore, da anni Google, Amazon e Microsoft ci lavorano intensamente e sono più di una le soluzioni disponibili, tutto sommato economicamente, sul mercato. Quello che mi pare essere molto interessante da osservare è l’ambito di utilizzo, la funzione che questa tecnologia può abilitare.

Chiarisco: per quanto questi strumenti siano sempre più evoluti e raffinati, al punto che oggi può non risultare immediato distinguerli da una voce umana, non credo potranno mai essere usati per fare un podcast, se usando questo termine ci riferiamo all’audio storytelling, ad un contenuto audio di tipo narrativo (anche se, temo, qualcuno ci proverà...).

La questione secondo me rilevante è che ci sono tanti contesti in cui il linguaggio audio può essere efficacemente implementato, ambienti in cui la valenza “funzionale” dell’audio – non posso guardare ma posso ascoltare – rappresenta già di per sé un notevole valore aggiunto. Siglando una partnership esclusiva con uno dei leader mondiali di questo comparto, Trinity Audio, abbiamo appreso che la già ampia schiera di publisher mondiali che l’ha implementata per rendere i propri contenuti testuali disponibili per le orecchie, oltreché per gli occhi, ha visto i principali indicatori di utilizzo crescere rapidamente e in modo significativo. 

Soprattutto, non sono solo gli editori a trarre vantaggio da questa tecnologia, e tanti altri settori stanno già beneficiando di una soluzione economica, scalabile e automatizzabile per rendere ascoltabili i loro contenuti, come ad esempio il mondo della formazione. Davvero, oltre al podcast c’è molto di più, c’è un mondo di informazioni e conoscenze che aspetta solo di essere abilitato all’ascolto.

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Giuseppe A. D'Angelo
Writes Pizza DIXIT ·Feb 27·edited Feb 27

La risposta di J-Ax sul caso Joe Rogan è la più idiota che si potesse immaginare. Paragonare un editore come Spotify a un supporto come il CD sono due cose completamente differenti, a questo punto avrebbe potuto pure dire "non dovrei neanche più acquistare la marca di microfoni utilizzata da Joe Rogan" se proprio voleva scadere nell'assurdo.

Fortunatamente il tuo inciso finale ribilancia questa stupidità, e ho ascoltato con piacere la puntata del podcast che spiegava perché se ti pago 100M per averti in esclusiva sono anche responsabile dei tuoi contenuti (ma credo che questo sia abbastanza logico, solo che bisogna spiegarlo ai J-Ax vari sperando che ci arrivino).

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