La bolla dei podcast scoppierà, ma un antidoto esiste
Intervista a Carlo Annese, fondatore della prima piattaforma italiana di podcast giornalistici. Dall’intuizione nel 2016 con “Da Costa a Costa” alle recenti produzioni branded
Da giornalista, l’utilizzo dei podcast per raccontare l’attualità mi interessa in modo particolare. Le potenzialità sono enormi. L’approfondimento audio si adatta bene alla frenesia delle nostre giornate: trovare il tempo per ascoltare un podcast di cinque minuti, magari mentre si fa una passeggiata, è molto più facile di trovare il tempo per leggere un articolo di cinquemila battute (mille battute corrispondono più o meno a un minuto). Inoltre credo che la connessione che spesso si crea tra conduttore/voce narrante e ascoltatore possa rimediare a quella mancanza di fiducia nel giornalismo che è stata registrata da più parti, tra cui dall’ultimo Digital News Report del Reuters Institute. Ecco perché ho affidato a Irene Privitera, ormai preziosissima collaboratrice di QdO, un’intervista a Carlo Annese, che con Piano P produce podcast giornalistici in italiano dal lontano 2016. La trovate qui sotto.
La scommessa di Piano P
di Irene Privitera
La Milanese, Corriere Daily, Da Costa a Costa: sicuramente avrete ascoltato, più o meno di recente, almeno qualche episodio di questi podcast. Sono tutti parte della produzione di Piano P, il primo marchio indipendente italiano di podcast giornalistici, fondato da Carlo Annese – classe 1964, un’esperienza ultraventennale alla Gazzetta dello Sport e più di sei anni da vicedirettore del mensile GQ – alla fine del 2016. Un tempo lontanissimo, se pensiamo che soltanto da un paio d’anni i podcast hanno cominciato a interessare e conquistare pubblici sempre più vasti. E a una velocità crescente, la stessa con la quale questi contenuti proliferano sulle varie piattaforme di streaming. All’inizio c’erano Piano P, Storie Libere, i singoli come Pablo Trincia e Matteo Caccia. È dal 2020 che le produzioni si sono moltiplicate, coinvolgendo in maniera massiccia anche i grandi gruppi editoriali (anticipati dal Corriere, che già nel 2018 aveva il suo primo podcast, Racconti Mondiali) e vedendo nascere nuove realtà indipendenti.
Il rischio di numeri così alti? «Si stanno producendo troppi podcast con una qualità modesta perché concepiti sempre di più come una persona che si siede davanti a un microfono e parla perché ha una storia da raccontare». Carlo Annese mi accoglie nel suo studio luminoso, con una scrivania dove campeggiano ordinati taccuini e pennarelli colorati. C’è un motivo per cui ci incontriamo dal vivo: è il suo modus operandi che si applica anche alla realizzazione dei podcast. «Preferisco sempre incontrare gli altri di persona: il covid ha sdoganato il “non suono” della rete, delle call, dei meeting online. Registrare dal vivo permette invece di rappresentare anche l’ambiente, i luoghi reali», mi spiega.
IL METODO DI PIANO P
Cosa fa la differenza, in un podcast giornalistico di qualità? «Il contenuto, certo, ma anche la sua confezione». Che, per Annese e la squadra di Piano P, ha regole precise. «Una buona storia da raccontare è la base, ma non basta. La si può condire, ad esempio, con la cura del dettaglio per rappresentare i suoni reali: è la “fictionalizzazione” del racconto, che si avvale anche dell’utilizzo di effetti sonori». E poi c’è il rispetto dei tempi. «Fondamentale per chi come me viene dalla scuola dei quotidiani (ha iniziato a 16 anni a fare il giornalista nella sua città, Brindisi, ndr): un numero definito di righe corrisponde a un numero definito di minuti. È un patto che si fa con gli ascoltatori: loro mi danno fiducia, io se mi impegno a fare un podcast di 20 minuti, non andrò mai sotto i 19 o sopra i 23». Anche il tempo delle persone intervistate ha un valore importante: «Arrivo sempre con un’idea molto chiara delle domande da rivolgere, per ottimizzare tempi e contenuti. L’incontro è preceduto da una chiacchierata preliminare dove non registro nulla, ma scrivo tutto ciò che ritengo fondamentale e che posso riportare nella conduzione. Per confezionare un podcast giornalistico non mi interessa fare delle conversazioni ma raccontare delle cose. E per questo cerco conferme, smentite, critiche e discussioni che mi permettono di costruire un percorso narrativo».

DA COSTA A COSTA, ANNO 2016
La linea editoriale di Piano P in effetti è ormai un marchio: lunghezza di un episodio attorno ai 20-30 minuti, niente sbavature, lapsus o ripetizioni. Contenuto condensato e ritmo cadenzato, musicale. Un mix che funziona, spaziando dalla storia delle birre artigianali (Beer Revolution) alle abitudini metropolitane (La Milanese), dalle religioni (Credo) fino agli spazi domestici post pandemia (Le Case di domani). Però un podcast lungo fino a 45 minuti nella storia di Piano P c’è, ed è Da Costa a Costa. E per raccontarne l’intuizione bisogna riavvolgere il nastro fino all’inizio. Fino al 2016. Cosa ha visto Annese quasi sei anni fa quando i podcast erano sconosciuti ai più? «Premessa: la scintilla per i podcast era già scoccata con l’ascolto di Serial e di Start up. Appena uscito il libro Podcasting che funziona (di Marco Traferri per Apogeo, siamo nel 2006, ndr) l’avevo comprato e mi ero messo a studiare. E poi ho letto la newsletter di Francesco Costa: era la cosa più “podcastabile” che potesse esserci (e lo è tuttora). Ho visto una possibilità. Francesco ha una capacità unica di narrare, che è la chiave del podcast: lui scrive come parla e parla come scrive, senza differenze e senza alcuna fatica». Annese e Costa lavorano insieme sull’impostazione e gli accenti, si affidano l’uno all’altro: così dalla newsletter sulla politica statunitense nasce il podcast da oltre 45 mila ascolti di media a episodio (sono i numeri della quarta stagione, diffusa nel 2020).
MONITORARE IL GRADIMENTO
Nel 2017, chiusa l’esperienza da vicedirettore di GQ, Carlo Annese rifiuta altre proposte e punta tutto sulla scommessa dei podcast con Piano P. Sulla strada tracciata da quella che è stata una scelta lungimirante è nato anche Corriere Daily, l’appuntamento quotidiano con l’informazione di approfondimento del giornale, disponibile gratuitamente. «Dal monitoraggio quotidiano emerge un ascolto trasversale, fino alle fasce d’età più alte ma esclusi i giovanissimi, che con tutta probabilità non conoscono neppure il Corriere. La retention è molto alta: il pubblico ascolta quasi fino alla fine». Anche per i podcast seriali, monitoraggio e feedback interni ed esterni si rivelano uno strumento essenziale. «Fra il primo e l’ultimo episodio di una serie possono esserci sostanziali differenze, proprio perché raccogliamo gli input che vengono sia dalla redazione sia dagli ascoltatori, e modifichiamo in corsa, per offrire un prodotto il più possibile in linea con i desideri di chi ascolta: il podcast è lo strumento che meglio di ogni altro nel giornalismo ti dà la risposta immediata della riuscita o meno di quello che hai fatto». Con il podcast si ha la possibilità di «raccogliere voci, andare sui posti, approfondire in presa diretta, facendo del buon giornalismo. Lo dimostra la quantità di produzioni uscite di recente, su argomenti non sempre mainstream, ma di nicchia o relativamente noti e non per questo meno importanti».
BRANDED PODCAST GIORNALISTICI, DOVE SI VA?
Gran parte dei podcast giornalistici è sostenuta oggi da un brand: per citarne solo alcuni nella galassia di Piano P, BMW per La Milanese e Birra Baladin per Beer Revolution. Il branded podcast è il luogo dove convivono giornalismo e presenza di un marchio: come è noto in Italia i giornalisti non possono fare pubblicità, in che modo si regge questo sottile equilibrio? «La chiave sta nel fatto che il brand si associ a un contenuto giornalistico di qualità, che proprio in quanto tale non è una pubblicità per il marchio in sé». Di conseguenza le persone indirettamente riconoscono al brand il merito di aver sostenuto la produzione di quel contenuto. È accaduto ad esempio nel 2017, durante l’episodio live del Farewell Party di Da Costa a Costa: «C’erano 450 persone, fra quelle ospitate all’interno e chi seguiva da fuori», racconta Annese. «Era una puntata vera e propria, quindi a un certo punto ho fatto partire la pubblicità di Barracuda Shoes, e la gente ha cominciato a sorridere ripetendo il claim a memoria». Negli Usa, invece, il conduttore introduce anche la pubblicità e il 45% degli ascoltatori, dicono le ricerche, poi va a cercare informazioni sul marchio; il 65-70% crede a ciò che dice l’host, gli dà fiducia. «Malgrado questi numeri, rimango convinto che in Italia si faccia bene a tenere distinti il contenuto giornalistico e quello pubblicitario».
«Chiaramente il contenuto pubblicitario all’interno del podcast deve essere riconoscibile e di qualità: questo contribuisce a creare una fiducia crescente, sulla base di un lavoro chiaro e serio fin dall’inizio». Ma come fanno le aziende a orientarsi fra le produzioni sempre più numerose? «Selezionando, scegliendo. Perché presto questa “bolla” scoppierà. E la differenza è fare un lavoro di qualità: i brand se ne accorgeranno», conclude Annese. «Penso che un brand tragga vantaggio dall’associarsi a un contenuto significativo: che sia giornalistico o di intrattenimento, si punterà sui podcast in grado di lasciare qualcosa in chi ascolta».
Le notizie della settimana
Dopo la fine dell’accordo con Spotify, Higher Ground, la casa di produzione degli Obama, ha firmato un accordo pluriennale con Audible.
Ora Alexa può imparare a imitare la voce di una persona con appena un minuto di registrazione.
La startup cinese di podcasting Ximalaya ha rinviato il lancio della sua offerta pubblica iniziale a Hong Kong a causa della volatilità del mercato.
Julie Shapiro - una delle più grandi professioniste nel settore dei podcast al mondo - ha lasciato Radiotopia e PRX per diventare l’Executive Creative Director di Novel, casa di produzione britannica.
È nata Stazione Radio, casa di produzione di podcast con sede nella ex cabina elettrica della Stazione Centrale di Milano.
La podcast app Fountain ha iniziato a pagare in bitcoin le persone per ascoltare.
Telegram ha lanciato Telegram Premium, una versione di Telegram su abbonamento, che tra le varie cose permette di convertire i messaggi vocali in testo.
Clubhouse sta testando i gruppi privati, nel tentativo di riguadagnare terreno. E Twitter sta testando una funzione per avviare una conversazione a partire da uno Space.
La ricerca delle settimana
Secondo il rapporto "Global Entertainment and Media Outlook 2022-2026" di PwC, entro il 2022 i ricavi dei podcast negli Usa cresceranno del 15%, superando di poco gli 1,2 miliardi. Il numero di ascoltatori mensili di podcast a livello globale raggiungerà gli 1,5 miliardi nel 2026, rispetto agli 895 milioni del 2021. La regione Asia-Pacifico registrerà i maggiori incrementi assoluti grazie soprattutto all’immensa popolazione dell’India.
Dove trovo nuovi podcast da ascoltare?
di Matteo Ranzi - Podcast Italia Network
[post sponsorizzato]
I podcast noti li conosciamo tutti: sono quelli da classifica Spotify, o quelli storici di cui appassionati e addetti ai lavori parlano spesso.
Se ascoltate una serie a settimana, forse ne avete sentite 100 in tutta la vita. Ma sapete quanti sono i podcast in lingua italiana?
Oltre 26 mila.
Sono quasi tutti poco noti, ma tra questi molti potrebbero piacervi, solo che non sapete che esistono. È vero o no?
Andrea dà un aiuto importante con i suoi consigli settimanali proprio nella newsletter che state leggendo. Sono super interessanti e li seguo sempre anch’io.
Ma per aiutarvi ulteriormente a scoprire nuove serie è nato il canale Telegram “Podcast 🎧 Consigli d'Ascolto”.
Ogni settimana potete trovare brevi recensioni di podcast, con spunti per i vostri ascolti. E da luglio ci saranno anche survey, spazi per ascoltare i vostri suggerimenti e momenti di confronto tra appassionati di podcast.
Tutto bello, ma non avete Telegram. Oppure avete scaricato l’app, ma non la usate perché fate tutto con WhatsApp e i social classici.
Meglio: sarà ancora più facile trovare i consigli d’ascolto perché userete Telegram solo per quello e le recensioni non si perderanno tra mille messaggi, finendo nel dimenticatoio.
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Mi sono iscritto al canale Telegram Consigli d'Ascolto. Il dito sul link è partito in automatico. Il che mi ha fatto molto piacere perché mi ha fatto capire quanto una newsletter verticalizzata come questa abbia molto più valore per il pubblico a cui si riferisce rispetto ad altri canali con migliaia o milioni di utenti. E quindi per lo sponsor che decide di investirci.
Per cui Andrea, ancora una volta complimenti per l'ottimo lavoro, sei un esempio! 🙂
Approfitto però di questo spazio per una piccola critica che ti chiedo, se puoi, di portare al tuo sponsor. Ho scorso per un po' il canale all'indietro, e ho notato che la stragrande maggioranza di consigli sono podcast di case di produzione affermate.
E purtroppo noto questa tendenza a favorire queste produzioni nella divulgazione dei consigli d'ascolto. Lo noto nella comunicazione mainstream, come nella premiazione de IlPod e, in minor misura, anche in questa newsletter (perdonami Andrea, la crítica non è fine a se stessa, vuole essere parte di una discussione).
Non c'è da stupirsi se ci si orienta verso quelle produzioni, in quanto avendo degli investimenti dietro è molto probabile che la fattura sia elevata. Ma se si fa un discorso del tipo "in Italia ci sono 26mila podcast" quanti di questi sono prodotti da grossi/medi studi, e quanti sono indipendenti? Non ho dati alla mano, ma a occhio la sensazione sia un buon 30/70 (o forse 20/80 per fare contento Pareto?).
Chiaro, la maggior parte degli indipendenti dura poche puntate, o non forniscono contenuti particolarmente originali. Però anche in quel mare magnum emergono sicuramente emergono punte d'eccellenza che vale la pena scoprire, al di là dei soliti già affermati (faccio l'esempio di un Storie di Brand, caso notevole di come un appassionato possa confezionare un prodotto di qualità e di successo... ma ormai nominarlo tra gli indipendenti fa gioco facile).
La sensazione generale è che ci si orienti verso le produzioni grosse perché si va sul sicuro, soprattutto perché spesso consistono di poche puntate, e alla peggio non si è investito tanto tempo nell'ascolto. Cosa che invece non si può dire di molti podcast indipendenti.
Naturalmente potrei sbagliarmi, e il mio giudizio potrebbe essere stato superficiale. Però era un pensiero che covavo da un po' e questo link mi ha dato la spinta giusta per agevolare la discussione.
E comunque al canale mi ci sono iscritto, perché al di là della critica di contenuto è fatto molto bene! 😊