Le metamorfosi dei podcast
Al momento uno dei temi più caldi nel settore dei podcast è quello dello sviluppo della proprietà intellettuale. Ne ho parlato con Michele Rossi, Head of Publishing & IP development di Chora
Ciao! Come state? Io mi trovo in un frullatore di emozioni e lavoro tutto sommato felice. La mia seconda sorella (ne ho quattro, più un fratello) si è appena sposata. Mia nonna Maria Rosa (la moglie del nonno Giancarlo 💞) ha appena compiuto 87 anni. Ho avuto il privilegio di esserci di persona in entrambi i casi.
Ma non voglio dilungarmi troppo nel racconto delle mie faccende personali. Immagino che, giustamente, ve ne importi poco.
Dunque, partiamo!
Far germogliare le idee
Sono ormai parecchi gli elementi che indicano quanto quello dei podcast sia un settore in fermento. Uno dei più interessanti senza dubbio riguarda lo sviluppo della proprietà intellettuale. Ossia, tutte le attività che - attraverso accordi vari e la vendita dei diritti - mirano a trasformare l’idea o la storia al centro del podcast in qualcos’altro. Principalmente, a tradurre quella storia o quell’idea in altre lingue o ad adattarla ad altri formati o media come libri, serie tv, spettacoli teatrali e persino Nft.
Da qualche tempo le potenzialità offerte da tutto ciò che riguarda lo sviluppo della proprietà intellettuale (la sigla in inglese è IP, intellectual property) sono state colte anche delle società di produzione di podcast italiane. Chora, strategicamente, sin dalla sua nascita alla fine del 2020 ha deciso di dedicare alle questioni relative all’IP una persona specifica. Sto parlando di Michele Rossi, Head of Publishing & IP development. Per quanto ne so, al momento nessun’altra azienda di podcasting in Italia ha previsto una figura simile.
[Disclaimer, ovvero “l’arte di mettere le mani avanti”: con Chora ci lavoro (mi occupo della Chora Academy e ne sono molto orgogliosa). Ma - come spero ormai sia chiaro almeno per chi mi legge da un po’ - questo spazio è del tutto indipendente. In sostanza, scrivo quello che mi pare senza condizionamenti]
OBIETTIVO SPILLETTE
«Quello dell’IP è davvero un tema caldo», mi conferma Michele, reduce da un panel al Salone del Libro di Torino intitolato Word of Mouth. Podcasts and publishing. Bringing people to books. «È venuta fuori la domanda “Che cos’è un podcast?”. Io oggi non lo so cos’è un podcast, e non lo voglio nemmeno sapere. Per me si tratta di connettere i puntini, di immaginare per ogni podcast un documentario, uno spettacolo teatrale, un libro. Fino ad arrivare a fare le spillette, il merchandising. In questo senso Chora è un’hub creativo più che un produttore di podcast».

Seppur in modo informale, Rossi aveva già iniziato a occuparsi di proprietà intellettuale quando lavorava a Rizzoli, dov’è arrivato nel 2002 e dove ha fatto tutta la gavetta fino a diventare responsabile della narrativa italiana. «Con Silvia Avallone feci il tour di tutti i grandi produttori cinematografici italiani per vendere i diritti di Acciaio (il romanzo d’esordio di Avallone, ndr), senza che avesse nemmeno finito di scrivere il libro. Fu una scommessa, allora non esisteva ancora la cultura per cui un autore sconosciuto potesse diventare la priorità per un editore. Incredibilmente, vendemmo i diritti cinematografici prima dell’uscita del romanzo, a Carlo Degli Esposti della Palomar», mi racconta Michele. «Acciaio attirò l’attenzione sia del mondo del cinema sia di quello dell’editoria. Serena Dandini volle Silvia nella sua trasmissione. Le 5300 copie della prima tiratura del romanzo finirono in due giorni e Silvia arrivò seconda al premio Strega (nel 2010, ndr) pur vendendo più del vincitore, Antonio Pennacchi. Avevamo gettato le basi per un pensiero trasversale».
TALENT SCOUTING
La scrittrice piemontese è una dei numerosi autori scoperti dallo stesso Michele Rossi, insieme a Pierluigi Cappello e Guido Catalano - solo per citarne un paio. E Rossi è anche colui che ha portato alla vittoria del premio Strega e, di conseguenza, alla notorietà nomi come Edoardo Albinati e Walter Siti. «Nessuno mi ha mai chiesto di trovare autori nuovi, non era il mio ruolo. Ho iniziato a farlo e basta. Cercavo i contatti e chiamavo. L’ho fatto con Gianrico Carofiglio e Federico Moccia tra gli altri».
E continua a farlo tuttora, individuando personaggi più o meno conosciuti per realizzare podcast. Per esempio, ha portato a Chora gli stessi Catalano, Siti e Carofiglio (rispettivamente con Amare male e Amare a marzo, Perché Pasolini? e La disciplina di Penelope), ma anche Nicola Lagioia (La città dei vivi). E ha avuto l’intuizione di coinvolgere Sabrina Efionayi (Storia del mio nome), Cristina Di Canio (La libraia tascabile) e Mattia Stanga (Sei Stanga?). «Sto provando ad addestrare la mia ricerca verso le esigenze proprie della natura dei podcast, che tra le altre cose richiede una voce di un certo tipo».
LE METAMORFOSI
Quello di Stanga, spassosissimo tiktoker bresciano (❤️️), è il «primo podcast della TikTok generation», un esempio riuscito di podcast condotto da un’influencer. È un’operazione che in molti stanno provando a fare ultimamente, non di rado con risultati scarsini (ne avevo scritto qui). La stessa strada viene percorsa da tempo nel mondo dell’editoria. Ai tempi di Rizzoli Michele Rossi lo aveva fatto con Elisa Maino. Anche in quel caso gli era andata bene. «Quando acquisimmo i diritti per il libro (#Ops, ndr) lei non era ancora così famosa. Per promuoverlo organizzamo un tour, sostenuto da uno sponsor, e poi vendemmo i diritti televisivi a un produttore romano. Quel tour oggi è disponibile su Amazon Prime Video come documentario. Insomma, l’idea di trasformare le storie in altro c’era già».
È stata proprio quell’idea, un istinto innato verso le metamorfosi a spingere Michele a decidere di lasciare Rizzoli per accettare la proposta di Chora, «una startup che mi piace immaginare come il bar di Guerre Stellari, composta da un insieme di mostri unici e speciali, da professionalità che altrove probabilmente non si sarebbero mai incontrate: questa è stata la visione di Mario Calabresi ed è la nostra ricetta segreta. Il nostro è un lavoro di squadra continuo e appassionato, ci fidiamo e ci ispiriamo a vicenda (poi ammetto che il sound di Chora curato da Luca Micheli apre ogni volta nuovi paradigmi). Qui con Sabrina Tinelli, Francesca Milano, Pablo Trincia e Sara Poma sappiamo di poter e dover sperimentare, magari rischiando ma scommettendo sempre su qualcosa che ancora non esiste. Proprio in questi giorni vediamo in classifica grandi storie di autori non ancora famosi. Mi piacerebbe che i prossimi autori siano inaspettati, che vengano da luoghi a cui non pensavo nemmeno io. Anche se comunque professionalmente mi piace il grande pubblico. Ho sempre voluto portare le storie, in differenti forme, a più orecchie, occhi e mani possibile».
DAI PODCAST AI LIBRI
Ma come funziona il lavoro di Michele? «Nella fase iniziale abbiamo comprato i diritti di alcuni libri che erano usciti o che stavano per uscire per farne delle serie audio», spiega. È stato il caso de La città dei vivi di Lagioia, da cui poi Chora ha tratto uno spettacolo teatrale, o de La disciplina di Penelope di Carofiglio. «Poi molti hanno iniziato a chiamarci per chiederci di comprare i diritti dei nostri podcast. E così ora stiamo soprattutto proponendo libri a partire dalle nostre serie. Quest’anno ne usciranno otto, un sacco», prosegue. «Io mi occupo di cercare autori e storie scalabili. Si lavora sempre con gli autori e con gli agenti che li rappresentano. Noi investiamo soldi e professionalità nel prodotto podcast e contribuiamo poi allo sviluppo della proprietà intellettuale. Il mio lavoro è cambiato più volte dentro Chora, perché sono cambiate più volte le esigenze editoriali».
Nel frattempo l’attenzione sui podcast è aumentata. Solo fino a un anno fa, dice Michele, non molti avevano chiarissimo nemmeno cosa fosse un podcast. Oggi le cose sono cambiate parecchio. Quello che ancora manca però è una vera cultura di massa, sostiene lui (e io sono d’accordo). «Abbiamo ricevuto diverse proposte di podcast anche da scrittori famosi che non rispondevano alle esigenze del formato. Per lo più sono persone non abituate ad ascoltare i podcast». Oltre a quella dei libri, un’altra direzione che stanno prendendo alcune serie di Chora è quella dell’adattamento in altre lingue, anche in collaborazione con società di produzione straniere.
NUOVI ORIZZONTI
Per ora invece in Italia, in generale, non si sono visti molti sviluppi sul fronte delle serie tv e del cinema (l’unico caso italiano per ora è l’adattamento di Veleno a docu-serie per Amazon). Ma sarei pronta a scommettere che le cose cambieranno presto.
Negli Usa i produttori cinematografici usano i podcast come banco di prova per valutare se determinate storie funzionano o meno. «Se fossi un produttore lo farei anche qui», commenta Rossi. «I podcast rispetto al cinema permettono di anticipare molto i tempi di produzione e di risparmiare sullo sviluppo. Inoltre contengono diversi livelli di scrittura, che si possono usare nell’adattamento in altri formati».
Faccio a Michele un’ultima domanda: fino a che punto lo sviluppo della proprietà intellettuale di un podcast può contribuire alla sostenibilità economica del podcast stesso? «I diritti hanno tempi lunghi, le royalties vengono pagate dopo circa un anno. Di sicuro lo sviluppo IP può avere un ruolo importante anche a livello economico. Ma è ancora presto per parlarne. Magari ti risponderò tra un anno, sotto tortura». 🙃
Avete già dato un’occhiata al sito di Questioni d’orecchio? Potete farlo cliccando il bottone qui sotto.
Le notizie della settimana
Secondo un nuovo studio di Cumulus Media e Signal Hill negli Usa il numero di persone che preferiscono podcast con il video è aumentato e YouTube è diventata la principale piattaforma per ascoltare/vedere podcast (un nuovissimo white paper di Podtrac analizza proprio l’impatto dei video podcast su YouTube rispetto a quello dei normali podcast).
I due conduttori di Reply All Alex Goldman e Emmanuel Dzotsi stanno per lasciare Gimlet (una delle case di produzione acquisita da Spotify). Non è chiaro se il podcast andrà avanti. L’anno scorso a lasciare lo storico show erano stati l’host PJ Vogt e la producer Sruthi Pinnamaneni (dopo avere lanciato un altro podcast - The Test Kitchen - in cui accusavano di comportamenti discriminatori un noto magazine, i due erano stati accusati di avere fatto lo stesso dentro Gimlet).
L’azienda di broadcasting SiriusXM ha comprato la casa di produzione di podcast del comico e conduttore tv Conan O’Brien, Team Coco, per 150 milioni di dollari (qui trovate un approfondimento di Axios). Nel 2020 SiriusXM aveva comprato Stitcher, grossa società di produzione di podcast, per 325 milioni.
Spotify sta traducendo un numero crescente dei suoi podcast originali in altre lingue (è il caso per esempio della nuova serie su Batman). Uno dei capi della società ha inoltre detto che i format che funzionano meglio sulla piattaforma sono (ancora) i podcast conversational e i podcast di storytelling con taglio documentaristico. Anche se ciò che conta davvero, al di là del format o del genere, è la «connessione tra conduttore e ascoltatore».
Podnews ha scoperto che su Spotify stanno comparendo svariati podcast che pubblicizzano le “ragazze squillo”. Gli stessi titoli non sono invece presenti su Apple Podcasts, che sottopone i nuovi podcast a un processo di approvazione a quanto pare più severo rispetto a Spotify. L’azienda di Daniel Ek inoltre ha - erroneamente - associato a diversi podcast una pubblicità di whisky. E sono pure ricomparsi gli spot politici.
Twitter ha lanciato una campagna molto carina per promuovere gli Spaces 👇
Opportunità e progetti
Il progetto “Obsolete Sounds” mira a raccogliere suoni che rischiano di scomparire. Si può contribuire fino al 3 giugno, qui.
Substack sta per lanciare un workshop su podcast & Co. per autori e audio creator.
Questo podcast è offerto da…
di Mirko Lagonegro, ceo e cofondatore di MDE
Lo premetto: sono di parte. Considero Tom Webster una delle quattro o cinque persone al mondo che meglio sanno osservare e commentare il contesto digital audio e il podcast in particolare. È per questo che sono stato davvero contento che sia stato lui ad aprire Give Your Brand A Voice, l’evento organizzato dall’OBE Branded Podcast Committee tenutosi la scorsa settimana. Nel suo keynote speech Tom ha motivato e “provato” il perché il formato Branded Podcast funzioni partendo dalle evidenze di uno studio condotto da Edison Research e Ad Results Media, il Super Listeners Study.
È noto da tempo che gli ascoltatori di podcast sono un target pregiato. Meno noto è il fatto che sono sempre più difficilmente raggiungibili con una campagna di advertising classica. Negli Stati Uniti, il 94% di loro ha sottoscritto un abbonamento a un servizio di video streaming, il 76% a un servizio audio in streaming. E le persone si abbonano non solo per poter disporre di contenuti di qualità decidendo quando e come fruirne, ma anche per un altro motivo: non amano la pubblicità.
È un fenomeno in crescita: sempre più consumatori si stanno allontanando dal tipo di pubblicità tradizionale, quella che interrompe un contenuto. In un solo anno, quel numero è aumentato di nove punti percentuali. Ma lo stesso gruppo di persone “irraggiungibili” dall’advertising classico è ben disposo verso un’altra modalità con cui un brand può associarsi ad un podcast: la true sponsorship. Codificata fin dai primi anni 2000, è il semplice “questo podcast è offerto da...” inserito in testa e in coda a un episodio. Viene percepito come un messaggio esclusivo (non c'è nessun altro brand legato a quello specifico podcast) e capace di creare una forte connessione emotiva perché, mentre una comune pubblicità lavora sulla percezione del consumatore riguardo a un dato prodotto, una true sponsorship cambia la percezione delle persone che lavorano nell’azienda che ha offerto un contenuto che piace: «Beh, se mi hanno regalato questo podcast, che mi piace così tanto, forse anche loro non sono male, e magari non sono male neanche i loro prodotti...».
La conferma arriva dai risultati di una ricerca sugli effetti di un’attività di true sponsorship per un marchio molto famoso del contesto automotive americano: il 58% di coloro che avevano ascoltato il podcast prevedeva di cercare online ulteriori informazioni su quel marchio, il 47% lo avrebbe riportato a un amico o alla famiglia e oltre un terzo ha affermato che avrebbe intenzione di visitare il sito web del marchio per saperne di più.
Insomma, come detto più volte il Branded Podcast non è un formato di advertising classico, ma un modo che ha un Brand di avviare una relazione continuata con la propria audience e di connettersi ad essa profondamente. E senza intermediazioni: vi pare poco?
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