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Vivere di podcast è ancora un'utopia
I risultati dell'indagine sulle opportunità di monetizzazione per i podcaster indipendenti italiani. E poi 20 notizie e trend per fare il punto della situazione nel mercato dell'audio parlato
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I podcast sono davvero una bolla? E nel caso lo fossero, questa bolla è ormai esplosa?
È da settimane che su LinkedIn mi imbatto in post di persone che in qualche modo sostengono che in effetti sì, i podcast non sono altro una bolla. E che sì, la bolla è esplosa.
Si sbagliano. I podcast non sono affatto una bolla. Certo, il pubblico ancora non è gigantesco. Ma cresce, cresce con costanza.
Chi si innamora dei podcast difficilmente poi li molla. I podcast, per la maggior parte degli ascoltatori, rappresentano un affetto stabile e contagioso.
E sempre più spesso diventano anche argomenti di conversazione, come - e in qualche caso persino di più - di libri e serie tv. Pensa per esempio a Dove nessuno guarda, sul caso di Elisa Claps. Se l’hai ascoltato (ed è molto probabile che lo abbia fatto) quasi di sicuro ne hai parlato con qualcuno.
A proposito: stasera (mercoledì 20 settembre) a partire dalle ore 18.30 sarò in diretta sull'account Instagram @questionidorecchio con Pablo Trincia, host e coautore del podcast.
Però è vero che, a un certo punto, i podcast sono diventati di moda. E questa moda ha coinvolto sia miriadi di podcaster improvvisati sia decine di aziende che si sono buttate in questo mondo senza capirlo. Ecco, a essere scoppiata è quella bolla. La bolla di chi non aveva compreso a fondo le peculiarità dell’audio, ossia la materia prima (e unica) dei podcast. Di chi non si era reso conto di quanto fosse complicato non solo maneggiarlo e plasmarlo in modo efficace, ma ancora di più monetizzarlo in modo diretto. Di chi aveva inseguito le logiche delle piattaforme social e dell’influencer marketing.
Tutti quelli che hanno mollato o rallentato lo hanno fatto perché hanno sbattuto la testa proprio sul nodo della monetizzazione, del business model. Tra chi resiste, solo una piccola parte lo fa - anche - perché ha trovato il modo di rendere i propri podcast economicamente sostenibili. Come racconto qui sotto, i più - specialmente tra gli indipendenti e le piccole case di produzione - annaspano ancora. Ma dalla loro parte hanno la passione, la determinazione, la consapevolezza delle potenzialità dell’audio. Anche se è dura (e probabilmente lo sarà ancora per un po’), nel loro caso non esiste e non è mai esistita alcuna bolla.
🙋♀️ PER I NUOVI ARRIVATI 🙋♀️
Nelle scorse settimane sono arrivate un sacco di persone nuove (gli ultimi credo proprio siano merito di
e della sua meravigliosa newsletter, ). Se ancora non mi conosci, in fondo a questa newsletter trovi qualche informazione su di me. Per quanto riguarda la newsletter, funziona così: ogni mercoledì alterno un numero dedicato ad approfondimenti e notizie (con una versione estesa per gli abbonati) a un altro con consigli di ascolto e lettura (a dare i consigli oltre a me ci sono Irene Privitera, Loretta Da Costa Perrone e Margherita Maspero, che è anche la persona che si occupa dei social di Questioni d’orecchio).L’APPROFONDIMENTO
Di soli podcast non si vive (ancora)
Fare soldi con i podcast, come scrivevo, è complicato. Nonostante i podcast esistano da vent’anni, nessuno ha ancora trovato un unico modello di business che funzioni per tutti. Ed è così non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. A luglio ho lanciato un’indagine rivolta ai podcaster indipendenti italiani per capire se e come è possibile vivere di podcast. Hanno risposto 40 persone, e questo è quello che è venuto fuori.
Primo dato interessante: solo una piccola percentuale dei partecipanti (circa il 13%) nella vita si occupa prevalentemente di podcast; la maggior parte lavora nel giornalismo, nella comunicazione e nel marketing. (E infatti molti nelle varie risposte al questionario hanno lamentato la mancanza di tempo per dedicarsi come vorrebbero al proprio podcast, mancanza di tempo dovuta al fatto che svolgono altri mestieri oltre a quello del podcaster.)
Quasi tutti hanno un target di pubblico molto generico: nessuno, mi pare, ha ragionato davvero sulla propria audience prima di lanciare il podcast.
Per quanto riguarda le piattaforme, quella più usata per la distribuzione del podcast è Spreaker, seguita da Spotify.
Quasi nessuno invece usa le piattaforme per monetizzare il proprio podcast (l’eccezione è Spreaker, usata per monetizzare dal 16% delle persone che hanno risposto); una piccola percentuale usa invece piattaforme per raccogliere donazioni dai sostenitori come Buy Me a Coffee o Patreon.La larghissima parte ha iniziato a fare podcast (e continua a farli) per passione, oppure per il desiderio di sperimentare un nuovo mezzo, o per il bisogno di raccontare e raccontarsi.
Meno della metà invece ha come obiettivo prioritario quello di guadagnare soldi dai podcast.
Il 55% non è ancora riuscito a rientrare nelle spese, anche se circa la metà conta di riuscirci prossimamente. Il restante 45% invece è già rientrato nelle spese o sta addirittura guadagnando dal proprio podcast.
Tra chi è già riuscito a monetizzare il proprio podcast, il 44% ci ha messo più di un anno, il 22% fra sei mesi e un anno e il 33% sei mesi o meno.
I fattori chiave che hanno determinato i guadagni? Tra quelli citati ci sono la crescita degli ascolti, la fidelizzazione della community, l’aumento della frequenza di pubblicazione, la costruzione di una buona reputazione e l’interesse di brand e committenti.
In ogni caso, la metà di chi guadagna dai propri podcast non guadagna abbastanza per riuscire a vivere in modo dignitoso.
Ho chiesto poi di indicare i propri punti deboli e punti forti nell’ottica della monetizzazione. Il fatto di realizzare un podcast di nicchia è stato citato in egual misura come punto forte e come punto debole. Tra i punti forti c’è poi la fidelizzazione degli ascoltatori e la qualità dei contenuti. Tra i punti deboli ricorrenti la scarsa promozione (non a caso i podcaster considerano la promozione una delle attività meno piacevoli tra quelle legate alla realizzazione del podcast), la frequenza di pubblicazione irregolare e il basso budget da investire sul progetto.
Ma alla fine da dove arriva la maggior parte delle entrate?
Per oltre un terzo fare soldi con i podcast significa fare podcast su commissione.
La pubblicità invece può rivelarsi utile come entrata secondaria.
Come si vede dai due grafici qui sopra, non esiste un’unica strada per monetizzare i podcast. Ognuno il modello di business se lo costruisce da solo, in base alle proprie esigenze e alle potenzialità del proprio podcast.
Di sicuro c’è ancora parecchio lavoro da fare. Ma come fare per migliorare la monetizzazione dei podcast? Queste sono alcune idee dei podcaster e delle podcaster che hanno risposto al questionario:
-Sviluppo di un sistema di sponsorizzazione dei singoli episodi
-Più opportunità di guadagno per i podcaster tramite le piattaforme (Spreaker, Spotify ecc.)
-Miglioramento degli algoritmi che determinano quali pubblicità vengono inserite all’interno dei vari podcast per avere adv più idonee al contesto
-Sistemi in grado di aumentare la reach dei podcast
-Iniziative per fare conoscere i podcast a un pubblico più ampio
-Evangelizzazione dei brand e dei potenziali investitori rispetto ai vantaggi dei podcast
-Maggiore spinta sugli annunci letti dall’host del podcast (host read ads)
-Eventi per fare incontrare i podcaster e i potenziali investitori
-Maggiore spinta sui servizi di abbonamento a pagamento
-Possibilità di avere più dati sugli ascolti e sull’impatto degli annunci pubblicitari
-Istituzione di fondi e bandi pubblici
E tu hai qualche suggerimento? Scrivilo nei commenti!
I PROSSIMI APPUNTAMENTI (ANCHE) A TEMA PODCAST
📌 DIG Awards, a Modena dal 21 al 24 settembre (ci sarò anche io! Faccio parte della giuria che valuta i lavori di audiogiornalismo investigativo, e domenica mattina parteciperò a un panel sul giornalismo nei podcast)
📌 PodFest, a Parma dal 22 al 24 settembre
📌 Festival del Podcasting, online e a Milano dal 25 al 30 settembre
📌 Internazionale a Ferrara, dal 29 settembre al primo ottobre
💡 Probabilmente la newsletter risulterà “troppo lunga”: clicca sul link che troverai alla fine per “visualizzare l’intero messaggio” 💡
COS’È SUCCESSO DURANTE L’ESTATE? 20 NOTIZIE e TREND
1. Si allarga la nicchia dei contenuti per bambini
Negli Stati Uniti quasi un terzo dei bambini tra i 6 e i 12 anni ascolta podcast, con benefici in termini di apprendimento e/o salute mentale. Sempre negli States da poco è nato Starglow Media, network dedicato ai podcast per famiglie; e Realm, società nota per i suoi podcast fiction, ha acquisito Pinna, che offre contenuti a pagamento per bambini e famiglie.
In generale, molti podcast per bambini sono basati sui personaggi di libri e cartoni animati. Tra gli esempi recenti ci sono The Disney Frozen Podcast e una serie di podcast ispirati ai libri del Dr. Seuss (il creatore del Grinch).
2. E aumenta anche l’interesse per la generazione TikTok
Alex Cooper, host del celebre podcast Call Her Daddy, ha creato una rete di podcast per la gen Z chiamata The Unwell Network in cui ha già assoldato note tiktoker statunitensi.
Varie aziende alla ricerca della ricetta per il successo in formato podcast stanno puntando proprio su creator famosi sulle piattaforme più frequentate dagli adolescenti. Un caso emblematico è quello della 26enne Bobbi Althoff: la tiktoker è riuscita a intervistare Drake e altri personaggi famosissimi e alcune clip del suo podcast sono diventate virali sui social. È stata poi messa sotto contratto da un’importante talent agency, WME (la stessa di recente ha concluso un accordo con la casa di produzione di podcast britannica Persephonica, che nel 2022 ha lanciato - tra gli altri - un podcast con Dua Lipa). E una grande talent agency statunitense, Elevate Entertainment, ha lanciato la propria divisione podcast.

❗️Intanto, dopo le voci degli ultimi mesi l’interesse dello stesso TikTok per i podcast sembra ora più concreto: alcuni podcaster hanno ricevuto messaggi con i dettagli su come caricare i loro podcast su TikTok tramite feed RSS❗️
3. YouTube spinge sempre più sui podcast
YouTube ha confermato che - come si vociferava - i podcast tra qualche mese potranno essere caricati sulla piattaforma tramite feed RSS. E questo varrà anche per YouTube Music, dove dal 2024 i podcast approderanno in tutto il mondo. YouTube Music peraltro ha da poco introdotto una sezione dove commentare canzoni e podcast.
Nel frattempo Triton, tra i servizi di hosting più usati negli Usa, ha introdotto la possibilità di vedere dalla stessa dashboard i dati delle views su YouTube e quelli degli ascolti su Spotify & Co..
Un sondaggio rileva che negli Usa il gradimento degli utenti per YouTube come piattaforma per ascoltare podcast ha superato sia quello per Spotify sia quello per Apple Podcasts. E i tre quarti dei partecipanti al sondaggio ritengono che un podcast dovrebbe essere considerato “solo audio o con video”, anche se un altro studio dice che la maggior parte degli ascoltatori preferisce i podcast solo audio.
4. Spotify vs Apple a servizio degli audio creator
Spotify ha annunciato nuovi tool per i podcaster, dalla possibilità di personalizzare la landing page dei podcast a quella di inserire un banner per promuovere i contenuti a pagamento. In precedenza aveva ufficializzato l’integrazione con Patreon per distribuire podcast su abbonamento.
Proprio sui podcast a pagamento si sono concentrati gli annunci di Apple Podcasts: i podcaster adesso hanno a disposizione una sezione per vedere in che modo gli ascoltatori interagiscono con i contenuti premium.
Apple Podcasts ha anticipato inoltre un’integrazione con la piattaforma di marketing Linkfire grazie a cui i creator possono misurare l'efficacia delle azioni mirate a promuovere i podcast. Qui trovi invece le novità introdotte con iOS17.
ALTRI TOOL INTERESSANTI
- La piattaforma collaborativa di Podcastle per creare podcast in team
- La piattaforma di editing di Descript e SquadCast
- Gli strumenti di Revive per migliorare la qualità dell’audio tramite l’intelligenza artificiale
- L’app iOS di Zencastr per registrare interviste a distanza (a pagamento)
- Il tool di trascrizione audio di Substack e quello di Matter (app per salvare i link interessanti)
5. I giornali scommettono sugli abbonamenti podcast
A proposito di abbonamenti, l’Economist ha appena messo dietro paywall tutti i propri podcast a eccezione del podcast quotidiano The Intelligence.
In Italia Il Post ha iniziato a pubblicare puntate extra di Indagini, l’amatissimo podcast di Stefano Nazzi, per soli abbonati.
E sugli abbonamenti stanno scommettendo anche vari creator di Substack, che hanno iniziato a pubblicare i loro podcast lì per non dipendere dalle entrate pubblicitarie.
6. I ricavi pubblicitari crescono ancora
C’è però da dire che, dopo un periodo di rallentamento, le cose sembrano andare meglio: i podcast sono il media che sta crescendo di più. Ad oggi circa il 60% delle agenzie e degli inserzionisti fa pubblicità nei podcast: è il 34% in più del 2020. Tra i generi che hanno visto la maggiore crescita pubblicitaria c’è, negli Usa e altrove, il true crime.
La situazione incoraggiante del mercato pubblicitario si riflette per lo più sui risultati del secondo trimestre finanziario 2023 delle principali realtà internazionali che si occupano di podcast. Eccoli riassunti (qui avevo già parlato di Spotify):
iHeartMedia: il podcasting ha inciso sul fatturato dell'azienda - in aumento del 12,9% su base annua - con un record del 10,5%.
SiriusXM: i podcast rimangono un settore molto positivo nel portafoglio pubblicitario di Sirius, che si prepara al lancio della sua nuova app “next-gen”.
Acast: le vendite nette della società svedese sono aumentate del 15% rispetto al periodo precedente.
Audacy: i ricavi pubblicitari dei podcast locali hanno superato quelli nazionali, con una crescita del 78%.
7. La pubblicità nei podcast funziona (anche nel sonno)
Una nuova ricerca ha rilevato che la metà degli statunitensi nell’ultimo anno ha comprato almeno un prodotto pubblicizzato in un podcast. Un’altra dimostra che i podcast sono il mezzo che cattura più a lungo l’attenzione delle persone, con risultati molto migliori rispetto ai video. Un’altra ricerca ancora dice che i podcast (insieme agli snack!) sono ciò di cui i consumatori non possono fare a meno.
I podcast risultano avere potenzialità pubblicitarie anche quando sono usati per addormentarsi: oltre la metà di chi ascolta podcast prima di dormire si ricorda di un annuncio il giorno successivo, e più di un terzo effettua un acquisto dopo l’ascolto. Parlando nello specifico di podcast comedy, per quanto riguarda la pubblicità funzionano bene soprattutto quelle in cui l’host racconta la propria esperienza con un prodotto o servizio.
8. Ma i licenziamenti non si fermano
D’altra parte, non si arresta l’ondata di licenziamenti provocata dal rallentamento del mercato pubblicitario che menzionavo prima. Tra gli ultimi segnalo quelli all’interno delle divisioni podcast della Marvel e della media company statunitense Futuro Media e quelli nella società di podcast di Dubai Kerning Cultures.
Negli Usa il network Kast Media invece ha smesso di pagare a vari podcast i loro guadagni pubblicitari: alcuni podcaster sono in credito di centinaia di migliaia di dollari. I problemi per Kast sono cominciati nell’estate 2022, quando i ricavi dalla pubblicità hanno subito un tracollo.
Inoltre, meno della metà dei professionisti del marketing confida davvero nella possibilità di misurare il ritorno sull’investimento nei podcast. Un’altra questione importante è quella della brand safety nei podcast: gli approcci basati sulle parole chiave sono spesso imprecisi e possono pregiudicare la monetizzazione dei podcast che trattano temi relativi alle voci sottorappresentate.
A proposito di brand safety, Acast ha appena disattivato tutte le pubblicità sulla serie di Luminary Under the Skin with Russel Brand, in seguito alle accuse di violenza sessuale che tre donne hanno mosso contro il comico nel nuovo documentario Russell Brand: In Plain Sight. Poco prima la società svedese aveva stretto una partnership con Luminary per rendere sei dei suoi podcast esclusivi disponibili ovunque tramite il supporto della pubblicità.
9. Come le piattaforme attirano gli inserzionisti
SiriusXM ha da poco lanciato uno strumento dedicato proprio alla brand safety nei podcast. Mentre Acast ha lanciato AdCollab, funzionalità che semplifica il processo di acquisto di sponsorizzazioni host read per podcaster e inserzionisti, e ha inaugurato una collaborazione con Podscribe, in base a cui la tecnologia di Podscribe per misurare e ottimizzare le campagne pubblicitarie sui podcast è adesso disponibile per tutti i suoi inserzionisti (questo implica che Acast non accetta più campagne che utilizzano Ad Analytics di Spotify).
Intanto Spotify ha introdotto una nuova dashboard per analizzare le campagne pubblicitarie su Megaphone e ha stretto una partnership con WPP, la più grande azienda pubblicitaria al mondo: i clienti di WPP hanno così accesso a tutti gli strumenti pubblicitari di Spotify.
La stessa Spotify peraltro ha appena messo in piedi la Spotify Advertising Academy: una serie di corsi virtuali per imparare a sfruttare i servizi di adv della piattaforma.
10. Il tempo d’ascolto dei podcast continua ad aumentare
Negli Usa aumenta sia il numero di ascoltatori di podcast, con il 42% della popolazione che ascolta su base mensile, sia il tempo di ascolto, con il 31% che ascolta almeno cinque ore alla settimana. Secondo altri studi la percentuale di chi ascolta oltre cinque ore alla settimana è minore (22% o addirittura 15%), ma comunque in crescita. In media gli statunitensi ascoltano 51 minuti di podcast al giorno (+6,9% di un anno fa). In particolare, la metà degli imprenditori risultano ascoltatori quotidiani. I podcast negli States rappresentano 11,4 minuti di ogni ora di ascolto audio supportato dalla pubblicità.
Uno degli studi alla base dei dati qui sopra, ossia “The podcast landscape” di Sounds Profitable, dice un’altra cosa interessante. Ossia che il migliore strumento di promozione dei podcast è il passaparola.
11. I podcast superano la radio
Pare che, per la prima volta nella storia, gli statunitensi stiano ascoltando più audio on demand (come podcast e musica online) che audio lineare live (la radio, in sostanza, il cui regno continua a essere l’auto).
D’altra parte non di rado ad avere successo come audio on demand sono gli stessi contenuti di audio lineare riproposti come podcast. Vale di sicuro per iHeartMedia, uno dei più grandi produttori di podcast negli Usa: oltre la metà dei circa 400 milioni di download mensili dei suoi podcast proviene da programmi radiofonici che l'azienda distribuisce in digitale dopo la messa in onda.
Un altro programma radiofonico diventato famoso sotto forma di podcast è Snap Judgment: la sua casa di produzione, gli Snap Judgment Studios, è appena stata acquisita dalla stazione radiofonica californiana KQED.
12. Spotify contro i rumori bianchi
La società ha preso in considerazione la possibilità di rimuoverli dal feed “talk” e di vietarne il caricamento in futuro, indirizzando il pubblico verso podcast più redditizi per Spotify stessa.
Secondo un documento consultato da Bloomberg il profitto lordo annuale dell’azienda aumenterebbe così di 35 milioni di euro: i podcast di rumori bianchi (ossia suoni che, secondo alcuni, favoriscono la concentrazione e/o il rilassamento) lo scorso gennaio rappresentavano infatti tre milioni di ore di consumo giornaliero sulla piattaforma, anche a causa dell’involontaria spinta algoritmica di Spotify. I creator di alcuni dei podcast in questione sono arrivati a guadagnare fino a 18 mila dollari al mese di pubblicità.
Da ottobre i creator di podcast di rumori bianchi non potranno più aderire all’Ambassador Ads Program. Per partecipare al programma, che offre un compenso ai podcaster per promuovere prodotti Spotify, bisognerà inoltre avere almeno mille ascoltatori unici (e non più cento).
13. La censura russa arriva su Apple Podcasts
A inizio agosto Apple ha rimosso da Apple Podcasts What Happened, il podcast di punta di Meduza (sito indipendente di notizie sulla Russia che le autorità di Mosca hanno dichiarato fuori legge), e un podcast del media indipendente russo Holod, per poi renderli di nuovo disponibili, senza dare spiegazioni…
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Nel 2019 ho unito queste due passioni e ho dato vita a Questioni d’orecchio: un magazine in formato newsletter sul mondo dei podcast e degli audiolibri.
Sono la direttrice editoriale della Chora Academy, la scuola di podcasting di Chora Media, e parlo di podcast anche su LifeGate Radio ogni martedì dopo il notiziario delle 18.
Sono laureata in Lettere Antiche e, dopo un anno tra Londra e Barcellona e un master in giornalismo, ho lavorato per diverso tempo al Corriere della Sera.
Oggi vivo tra la pianura padana e Maiorca.
Vivere di podcast è ancora un'utopia
Molto interessante. Grazie per la ricerca e per aver condiviso i numeri. In altri paesi, nonostante la distanza e il fatto che sia quasi impossibile stabilire paragoni, accade la stessa cosa con la monetizzazione. E come dici tu: non esiste un modello unico. Esistono alcuni modi per guadagnare denaro con alcuni podcast. E altri per altri podcast. Non ci sono bolle o ricette magiche.
😁Mi scuso per il mio italiano, sto usando Translate. Saluti dall'Argentina!!!